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Sunset - Chiara Cerri - SPLIT - Pidgin Edizioni

Sunset

La facciata è una bomboniera rosa.
L’insegna è grassa, come una scritta con un Uni Posca viola sul diario di una tredicenne. In alto diapositive di pose ammiccanti. Una di loro potrei essere io.

È davvero bizzarro che un night club abbia un nome del genere, non lollipop, trinity, vanity; mi fa venire in mente un locale sulla spiaggia, dove sorseggiare cocktail mano nella mano, mi fa pensare alla marca di un autoabbronzante. Non un posto dove strusciarsi al cazzo flaccido di un vecchio.

Quando mi hanno dato l’appuntamento alle dieci di mattina mi sono messa a ridere. Bizzarro.

Il provino consisteva in una canzone da ballare al palo, davanti al DJ.

Lui mi ha detto: tesoro, è una cosa veloce, balli per tre minuti e poi quando senti che la musica sta per finire, ti togli le mutandine.

Mi ha chiesto che musica volevo per la mia prima performance.
Ho detto: metti una cosa pop, anzi no, qualcosa di dance.
Poi ho aggiunto: no senti, scegli tu. Non volevo responsabilità.

Ho ballato, ma non capivo quando la musica stava per finire, il tempo si era dilatato. Uno strazio. Davanti a me poltrone vuote. Ci ho immaginato dentro i corpi di tutti quelli che mi conoscono. Mi è arrivata addosso una felicità losca.

Poi il DJ non l’ho visto più, ero accecata dalla gioia, ma sentivo le sue pupille grasse come radar su di me, ho iniziato a spogliarmi troppo presto e sono rimasta nuda come una lumaca senza guscio. Per più di un minuto. Sessanta secondi di carne-al-vento sono un tempo interminabile.



Soho è uno di quei quartieri dove puoi incrociare un kinky al guinzaglio, e poi subito dopo arriva un manager, a sussurrarti che i tuoi occhi non hanno capito un cazzo, la vita non è un parco giochi.

Quando esco dalla bomboniera e sbuco in Dean Street mi acceca una luce sospetta. È strano, ma dopo aver abbassato il mio perizoma in pubblico, Londra mi pare una città più gentile.

Non dovrò più infilarmi dalle parrucchiere pakistane per sentirmi compresa, non avrò più bisogno di recarmi dal fruttivendolo turco per rubare sorrisi clandestini. Ho finalmente una comunità a cui appartenere.

Vado da Primark a comprare la divisa da lavoro. Porto alla cassa un paio di sandali plateau fuxia, una sottoveste nera, un completo intimo di pizzo.



A casa c’è Eddy a non aspettarmi.

Devo trovare una scusa. Non gli ho mica detto che mi sono licenziata dal pub. Eddy in questo periodo mi ignora, di solito lo trovo sul divano a guardare Family Guy, ride alle battute ciniche di Stewie Griffin tra un sorso di birra e l’altro.

Ora ce l’ha con me perché dice che non sono molto sorridente, non lo metto a mio agio con il mio comportamento. Le sue mani sono cubetti di ghiaccio, e il suo sguardo si posa sempre a qualche metro di distanza da me, sulle ante dell’armadio, sulle crepe dei muri. A volte, quando mi passa accanto sento delle fitte, un dolore raccapricciante allo stomaco. Punture di vespa nell’intestino tenue. Dico a Eddy che ho un turno in un altro pub, questa volta di notte, starò via per molte ore.

C’è un grugnito. Sguardo alla tapparella rotta.

Stewie fa una battuta: ah ah!



Di notte il Sunset ha un aspetto diverso.
Dentro è affollato, vengo risucchiata dalle parole.

La donna del bar è la boss. È brasiliana, mi guarda in cagnesco come fossi una ladra, mi fa firmare un foglio.

Seguo i sederi morbidi delle ragazze e arrivo al piano di sopra, nei camerini cambia tutto. Vengo accolta da un gruppetto di corpi nudi. Diciottenni che si stirano i capelli con la musica nelle orecchie, donne sulla cinquantina che si tirano via con le pinzette i peli bianchi del pube. Il must è stare allo specchio e passarsi i trucchi. Qualcuna mi offre delle patatine, hanno tutte qualcosa da dirsi. Una ragazza dall’accento dell’est mi spalma del fard in faccia.

La boss entra e grida: ragazze andiamo, che c’è da fatturare!

Tutte in fila, tra risatine e schiocchi di chewingum, un sorso di vodka da tre pound. In mezzo ci sono anche io, che sono una donna dall’accento strano, una clandestina approdata in una nuova città in cerca di qualcosa. Mi troverete sul marciapiede a contare le banconote che mi hanno infilato negli slip.



Quando salgo sul palco sono vincente, ho un fascio di luce puntato sui miei capezzoli. Ritmo. Penso a tutta la miseria. Sorrido. Musi di animali sotto di me. Ritmo. Li schiaccio a ogni passo.

Scendo a quattro zampe. Mostro le natiche al pubblico. Se potessi mi aprirei in due per fargli vedere tutte queste punture di vespa.



I miserabili siete voi, non io.
Ritmo.

I miserabili siete voi.



                                                             Le ragazze applaudono.








Chiara Cerri è nata a Viareggio. Ha studiato arti visive e lavora come fotografa e insegnante di italiano per stranieri. Alcuni suoi scritti sono apparsi su Nazione Indiana, Grado Zero, Carie.

Sunset - Chiara Cerri - SPLIT - Pidgin Edizioni
“Sunset”, un racconto di Chiara Cerri per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni