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illustrazione Non è colpa mia - Savina Tamborini - SPLIT - Pidgin Edizioni

Non è colpa mia

Laria puzza di smog a Milano. Sull’altalena dondolo con le rughe agli angoli degli occhi e il vento tra i capelli. Non è colpa mia se ho questo nome del cazzo. La voce del popolo, cazzo, ma non potevano chiamarmi Francesca, Michela, almeno avrei avuto un soprannome tipo la Franci, la Miki?

Nhandan, la voce del popolo, nickname Nando. Fanculo la guerra in Vietnam. Fanculo il comunismo, fanculo il popolo. Viva i soldi, viva il consumismo. 

Piego le gambe e le allungo, il pizzo del vestito svolazza avanti e indietro.

Non è colpa mia se a scuola mi hanno bullizzatə; Nhandan, Nhandan, ma sei femmina o maschio? Non è colpa mia se loro erano in tre e mi hanno chiusə nei bagni della scuola. A turno tenevano la porta, mentre uno mi bloccava e l’altro mi toccava. Ridevano. Sì sì, è femmina. Ahah. A turno. Tre volte. E devo pure essere contentə che m’è andata bene. 

Voglio cambiarmi, fare un bagno e uscire a comprare tutto il mondo. Sull’ascensore di cristallo entra il sole. Sospiro. Da piccolə ero così buonə e mansuetə, proprio come un animale domestico. Amavo gli animali e ne avrei tanto voluto uno tutto per me. Avevo bisogno di compagnia e di sentirmi amatə. Al telefono imploravo mia madre che viveva a Nova Scotia. Lo urlavo nella cornetta a mio padre che era in Libano. Loro dicevano che presto sarebbe stato Natale e che ci avrebbe pensato Santa Claus. Ma chi c’ha mai creduto al cazzo di Babbo Natale, mica sono scemə.

Nella vasca idromassaggio soffio nelle bolle, si allargano, scoppiano. Il rasoio cade nell’acqua, lo cerco e lo ripesco. Sarebbe un attimo indolore in questo immenso vapore, come quando lui è morto e non se n’è nemmeno accorto. Jingle bells, jingle bells… Eccolo il Natale con l’alberello e il presepe. Lancio il rasoio contro le mattonelle del muro. Fanculo, non è colpa mia se i miei invece di comprarmi un dalmata, un gatto nero, un acquario con Nemo, mi hanno comprato tre galline e Gigliola, un cazzo di cavallo, come Pippi. Io ho sempre odiato Pippi. Poi a Milano, in centro… Il giardino come un porcile. Ecco, i maiali avrebbero dovuto regalarmi, già che c’erano. 

Tolgo il tappo, lo sgorgo risucchia l’acqua. Non è colpa mia se amavo gli animali e se la cuoca filippina ha fatto lo spiedo coi polli. Non è colpa mia se Gigliola voleva scappare, ha saltato il cancello ed è rimasta infilzata nelle guglie di ferro con le budella a penzoloni.

Di fronte al guardaroba è sempre così difficile scegliere, mhm, vediamo. Dalla stampella strappo un tubino Armani. Io gli animali vivi non li voglio più avere; io gli animali li voglio avere solo morti, morti come i miei genitori, tanto loro morti lo sono sempre stati anche da vivi. Do un calcio alla testa della tigre sul tappeto, do un pugno allo sparviero che cade dal camino.  

Mi metto il bracciale Swarovski. Allo specchio mi infilo gli orecchini di diamanti, scelgo una pelliccia. Amo le battute di caccia alla volpe, braccata da furiosi cani, incalzati dal lungo suono del corno. Amo lo zelo dei bracconieri, poveri uomini che vivono nel terrore di essere beccati mentre scuoiano zibellini, linci, visoni, ermellini, karakul

Com’è morbida e calda questa pelliccia in questo autunno milanese così uggioso e malinconico. Che sollievo avere la testa coperta dal soffice colbacco. 

Buonasera, Ambrogio. Freschetto oggi; c’è un’arietta di neve, eh? Ah no? Allora sono io che sono freddolosə. La limousine parte. 

Entro nei negozi, esco, Ambrogio mi apre lo sportello e lancio dentro le buste dello shopping.

Sono stancə, il tacco dodici non perdona, ma voglio continuare. Lo smartwatch si illumina, bene, ho ancora tempo di concedermi un ultimo sfizio. 

Eccole, sono loro. In vetrina le scarpe coccodrille aspettano solo che me. Una voce mi dà lə benvenutə. Non è la commessa che arriva da destra; è un cacatua bianco in una gabbia. 

La commessa mastica una gomma a bocca aperta, guarda lo smartwatch al polso, alza gli occhi al cielo, sbuffa. Col cazzo che ti lascio la mancia, maleducata! Mi porta la scatola, la apre e mi passa le coccodrilline numero 34. Che piedino, signora.  Me le infilo e raggiungo lo specchio. I miei piedi formicolano. Il cacatua agita le ali. “Molto belle, scarpe giuste per te, bella, belle, bella.”  

Che amore! Ha proprio ragione: le voglio e voglio anche lui.  

Il cacatua non è in vendita, mi dispiace signora. 

Primo non sono una signora e secondo tutto è in vendita, carina. Mi chiami il direttore, la direttrice, quel che è. 

Il signor Gianfranco Delvò è in vacanza in Thailandia. 

Come hai detto, smandrappata, che nemmeno Gucci sai portare? 

Delvò, terza C, i bagni della scuola. Mi palpava e rideva con la vocetta garrula e i canini sporgenti come un vampiro. 

Il direttore torna domani, ma Carletto non glielo venderà mai; è il suo più grande amore. Sa che le stanno proprio bene queste scarpe?

I piedi formicolano e prudono. Mi gratto. 

La commessa si avvicina al cacatua, apre la gabbia, allunga il dito che lui afferra stretto. Ahi, piano, mi fai male. Lui le salta sulla spalla, strofina il muso sui capelli, glieli arruffa e rimangono elettrici, cotonati sul lato. 

Mi scappa un sorriso che copro con la mano. Pago le coccodrilline strisciando la carta oro. La commessa strabuzza gli occhi. Sì, cocchina, è d’oro vero. Il cacatua allarga le ali. “Portami con te.” Si alza in volo. 

La commessa agita le braccia in aria. Le apre e le chiude a vuoto. Carletto mi atterra addosso, si attacca con gli artigli alla pelliccia di cincillà, apre il becco e lo infilza nel colbacco di volpe grigia. Come un fulmine, le coccodrilline mi fanno volare. 

Ambrogio apri! Ci buttiamo dentro. Metti in moto! La commessa si strappa i capelli. Al ladro, al ladro.

Ladrə si dice, cazzo, evolviti mentecattə. 

La macchina si ferma. Non ci posso credere: ho il suo pennuto uscito dalla via lattea. Lo accarezzo.  È un gran peccato perché avremmo potuto volerci bene, sai? 

Ambrogio apre la portiera. Ma che prurito. Mi gratto le caviglie, mi gratto le braccia, mi prude la testa. “Belle scarpe, bella, sei bella.”

Grazie Carletto, ma devi soffrire come ho sofferto io per colpa sua. Ti spezzerò il becco, ti trancerò la lingua, ti staccherò le zampette e ti farò mangiare LSD sbriciolato nella vodka glaciale.  

Sulla soglia di casa mi spoglio. Mi gratto furiosə, getto la borsa per terra. Tocco il colbacco ma non si toglie, prendo la pelliccia ma non si sfila. Mi gratto la testa, il collo. Strofino le braccia. Alzo la gonna, strappo le autoreggenti, mi gratto le gambe che si arrossano striate, le unghie lunghe rigano le caviglie. Le tiro, ma le coccodrilline non si staccano. I piedi mi pungono come nudi in un formicaio. La pelle mi brucia, i muscoli si rompono come bottiglie spaccate in due, con un pezzo di vetro conficcato nel cuore, il muscolo della vita, dell’amore e dell’odio che spruzza sangue e imbratta tutto di rosso. 

Carletto mi vola intorno. Una nuvola di piume schizzate di sangue che starnazza come una gallina, ma io volevo un gatto nero e ho rubato un cacatua bianco. No, non sono pazzə. Papà, mamma, non è colpa mia se non mi avete mai amatə. Carletto, non è colpa mia se il tuo padrone mi ha molestatə. È colpa sua.

Prendo l’Usaba che mi ha regalato l’ambasciatore del Giappone, alzo il braccio e la luce sulla lama si riflette negli occhi di Carletto. Stringo il coltello in un pugno stretto, ce l’ho davanti, inarco il busto, colpisco. Lo manco. Il coltello mi cade e si infilza nel parquet.

Sulla testa il colbacco si muove, qualcosa mi morde e la fronte mi cola. Ho caldo, passo la mano e mi asciugo. È sangue; sudo sangue, le tempie mi pulsano, la schiena è un tormento di pizzichi e morsi. I cincillà si animano, spuntano i loro musetti e ficcano i denti nella carne. 

Carletto è sul pavimento, le ali spalancate e lo sguardo torvo. I denti delle coccodrilline si muovono, gli occhietti sbattono. Mi fanno male i piedi, male da morire. Esce sangue, tanto sangue. Le bestie mi stanno mangiando vivə. 

No, non sono pazzə. La colpa è sua. 






Savina Tamborini vive e insegna a Stoccolma. Laurea in lingue (russo, inglese) alla Statale di Milano. Laurea magistrale (svedese, italiano, russo) e Master in letteratura moderna italiana all’università di Stoccolma. Ha partecipato a corsi di scrittura con Lidia Ravera, Valeria Viganò e il drammaturgo Emanuele Aldrovandi. 

Da aprile 2021 ha pubblicato racconti su Crack, Rivista Blam, Morel voci dall’isola, Biró, Lunario, Rosebud scrittura collettiva, Racconti dal crocevia, Malgrado le mosche, Megazinne

Su Crack esce FIGURARSI, la rubrica queer sulle figure retoriche in collaborazione con l’artivista Giannino Dari. 

Oltre ai racconti e alla rubrica, ha scritto fiabe, prima andate in onda su Radio Città Aperta, poi messe in scena alle Biblioteche di Roma e infine raccolte in un CD, presentato alla Fiera Più libri più liberi nel 2007. 

Nel 2018 ha pubblicato un saggio su Elsa Morante e Le straordinarie avventure di Caterina

Dal 2007 al 2018 si è trasferita in Svezia, ha trovato lavoro come insegnante, ha studiato, ha imparato la sua terza lingua, si è sposata, ha avuto due figlie. Finalmente due anni fa ha divorziato e da allora ha ripreso a scrivere per sempre.

illustrazione Non è colpa mia - Savina Tamborini - SPLIT - Pidgin Edizioni
“Non è colpa mia”, un racconto di Savina Tamborini per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni