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Grazie, Lauren Greenfield

(Saggio personale tratto dalla rivista online HARSH.
Traduzione dall’inglese di Stefano Pirone.)



Alcuni dei primi ricordi che ho sono di momenti di sofferenza. In terza elementare, la maestra distribuì delle batterie per un esperimento di scienze. Non ricordo quale fosse l’esperimento. Sembrava che avremmo tutti fatto la stessa cosa, ma le batterie distribuite erano un misto di 9 volt e pile più piccole, di tipo AA. Io ricevetti le batterie più piccole e piansi perché mi sembrava che mi stessero isolando. Avevo l’impressione che le pile più piccole significassero che il mio progetto non sarebbe stato buono come quelli degli altri.

Un ricordo ancora precedente, risalente all’asilo, riguardava l’ora di educazione fisica. Tutti noi bambini della classe dovevamo scorrere da un lato della palestra all’altro stando stesi su queste piccole tavole blu con le rotelle. Portavo un vestitino rosa con le gale. Continuava a incastrarsi sotto le ruote della tavola, quindi ero lentissima e rimasi bloccata nel mezzo della palestra. Cominciai a piangere urlando perché ero stata lasciata indietro. Tutti erano riusciti a raggiungere l’altra estremità. Non ricordo quanto a lungo fui lasciata lì a piangere.

Un po’ di tempo dopo smisi di indossare vestiti lunghi. A scuola indossavo pantaloncini e t-shirt bianche, e gli altri bambini mi prendevano in giro perché avevo le gambe da gallina e le ginocchia nodose. Ero troppo magra, immagino, per essere una bambina di otto anni.

Ma essere troppo magra è come essere troppo ubriaca. Vale a dire, non è un grosso problema.

***

Forse mi è sempre stato insegnato di considerare egoistica la mia depressione.

Quanto possiamo diventare pretenziosi?

Recentemente ho comprato un cellulare a conchiglia. Del tipo con i pulsanti piatti e senza accesso a Internet. Mi tiene lontana dai social media e mi impedisce anche di cercare ossessivamente immagini di pop star “paurosamente magre” dei primi anni 2000. La quintessenziale Mary Kate, Nicole Richie dopo Simple Life. Anche Paris Hilton, Tara Reid, Mischa Barton. Portia De Rossi. Nella prima metà del decennio, le riviste pop erano ossessionate dall’espressione “paurosamente magra.”

Sto provando a comprendere se la mia attuale ossessione verso i primi anni Novanta e i primi 2000 sia dovuta al mio desiderio di evadere dall’epoca attuale. (Un tempo ero anche ossessionata dall’idea di uscire con un uomo che guidasse una Corolla dorata).

Non sono mai non me stessa (il che è doloroso) e allo stesso tempo non sono mai in grado di essere me stessa (il che è altrettanto doloroso). Quando ho fame immagino il mio corpo che mangia se stesso e questa immagine mi rilassa.

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Oggi ho fatto sesso, il che prova che posso digiunare e fare ancora sesso.

Sto cercando di convincermi che la mia decisione di comprare un cellulare a conchiglia sia dovuta a motivi di salute mentale e non a un desiderio compulsivo di consumare.

Non riesco a dormire.

Indosso Adidas dorate. Mi trovo in una Corolla dorata. Sto sognando queste cose.

***

Passo la maggior parte del mio tempo di notte a rileggere le mie esperienze. Mi sento lontana da me stessa oppure mi sforzo di immaginare quale possa essere la tua esperienza della mia vita, quale possa essere l’esperienza di me o della mia arte ai tuoi occhi.

Naturalmente so che è impossibile e che mi mentirai se ti chiedo della tua esperienza di me. Mi sembra anche egocentrico chiederti dei diversi aspetti per cui provi interesse nei miei confronti.

Non sono pronta a discutere di quanto io sia egocentrica.

(Sono curiosa di sapere quale tipo di auto guidi e se ha o meno il cambio manuale. L’auto è a trazione posteriore? È stata prodotta prima del 1992?)

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Ho stabilito di soffrire di bulimia da fine capitalismo, per la quale acquisto molte cose rapidamente e poi, quasi immediatamente, mi pento di aver consumato quelle cose. Tento di sbarazzarmi di questi rimorsi il più velocemente possibile donando vecchi vestiti e oggetti simili agli oggetti che ho acquistato per alleviare il senso di colpa che ho contribuito a immettere in questo sistema.

Soffro anche di bulimia vera.

Ho guardato di nuovo questo documentario prodotto nei miei anni dell’adolescenza intitolato THIN, uscito nel 2005. Periodicamente cerco informazioni sulle ragazze profilate dalla Renfrew, considerata una delle più celebri cliniche dedicate ai disturbi alimentari nel paese, per vedere come sono sopravvissute. La mia preferita si è suicidata nel 2008. La mia altra preferita, la gemella, ha scritto un post su un blog, sempre nel 2008, poi è svanita per un po’. Ho visto questo film così tante volte che scorre nella mia testa. Ho cercato queste ragazze tantissime volte.

Quando non sto male, so di non doverlo guardare. Come quando leggo Sprecata di Marya Hornbacher, so esattamente perché lo guardo e cosa sto cercando in esso. C’è una scena del film che riesco a richiamare alla mente con particolare chiarezza: una delle ragazze più magre (che viene anche profilata nel libro fotografico con copertina rigida che accompagna il film) piange durante una sessione di terapia di gruppo. Avrà una ventina d’anni. Sta cercando di mettere in guardia una ragazza molto più giovane, sedicenne, descrivendo l’esperienza di portare “pasti preconfezionati” alla cena del Ringraziamento, e la preparazione dell’atto di mangiare, di essere incapace di mangiare quel che mangia la sua famiglia, cosa che la riduce in lacrime mentre cerca di descriverla. Mi si rizzano i capelli sulla nuca. Mi riempie di adrenalina pensare a tutto il tempo che ho passato con la mia famiglia mangiando pasti separati durante le festività, pasti che avevo preparato per me stessa, con ogni caloria contata esattamente come doveva essere, pensare alle festività in cui non ho potuto mangiare separatamente e quindi mi sono rimpinzata gioiosamente di sugo e patate e carne prima di sgattaiolare in bagno, dove provavo a trovare il modo più silenzioso di epurarmi nella casa di un parente in cui ogni passo riecheggiava.

Sto romanticizzando la parte più malata di me? È per questo che credo che la guarigione sia una cosa falsa?

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Sto frequentando gli Alcolisti Anonimi in cerca di una terapia per il mio disturbo alimentare, il lunedì a mezzogiorno quando il mio compagno è al lavoro, così da non dovergli dire dove vado.

A volte vomitare mi fa sentire altrettanto bene, se non meglio, di quando faccio sesso perché è estremamente personale e ritualizzato. È più facile per me vomitare quando è qualcosa di forzato rispetto a quando il mio corpo tenta naturalmente di rimettere da solo per nausea o malattia.

Ultimamente non voglio fare sesso perché ho poche forze e il sesso mi sembra incentrato più sull’altra persona che su di me.

Anche la ragazza in THIN che si è ammazzata si epurava. Non so se si considerasse bulimica. Nella bulimia c’è una volatilità riguardo all’epurarsi dal cibo che non esiste all’interno delle azioni dell’anoressia. Mi sentivo più propensa al suicidio quando mi epuravo tutti i giorni, quando sentivo che qualsiasi cibo nel mio corpo fosse un’invasione che continuavo a imporre a me stessa.

Il mio compagno non sa della mia ricaduta.

C’è una forma di vergogna nell’essere bulimica rispetto all’essere anoressica, anche quando sei una bulimica molto magra. Come se ci fosse un caos femminile indesiderato che esiste all’interno della bulimia.

Intendo dire che la bulimia è considerata ideale perché è controllata. È il motivo per cui la maggior parte delle rappresentazioni dei disturbi alimentari in televisione sono di persone anoressiche. Man mano che limito la mia assunzione e tento di diventare la versione idealizzata di me stessa (che tuttavia non è la versione idealizzata di come la società crede che le donne debbano essere), alla fine il mio corpo non può più limitarsi. Possono volerci giorni per arrivare a questo punto, oppure mesi. Dopodiché, volontariamente o meno, consumo quante più calorie possibili. Poi le espello dal mio corpo. Emerge la verità: non posso essere controllata. Sono realmente un casino. Una persona spazzatura, che mangia spazzatura e che poi la spreca. L’anoressia è l’ideale organizzato, razionale e mascolino, rispetto al mio indesiderato caos femminile. Forse è per questo che è il disturbo più idolatrato e più considerato come glamour. Forse è per questo che le persone bulimiche non sono viste ma, invece, ascoltate.

Forzarmi – a fare qualsiasi cosa, anche ciò che in definita desidero – è qualcosa che sono abituata a fare in ogni mia relazione, compresa quella che ho con me stessa.

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Gli incontri degli AA sono i più sicuri da frequentare perché le donne magre non mi infastidiscono ma le donne con disturbi alimentari non fanno venire voglia di vomitare o digiunare.

Se frequentassi un programma per i disturbi alimentari, sarei contenta perché potrei rivelare la mia malattia. Diventerei ancora più malata, anche se guadagnassi peso. Guadagnare peso sembra l’unico fattore, o almeno il fattore principale, nell’immagine della guarigione nei programmi per i disturbi alimentari.

C’è una tendenza nelle persone anoressiche a essere estremamente orgogliose della loro abilità a farsi del male in maniera così controllata e sostenuta.

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La ragazza di THIN che si è suicidata fu cacciata dalla Renfrew per aver violato le regole della comunità. Gli psicologi e l’amministrazione la definirono “difficile.” Dissero che non si fidavano di lei. All’inizio del suo soggiorno, si intascava i farmaci ansiolitici per darli alla gemella, che li nascondeva nel suo bagno. Trovarono i farmaci durante un controllo della stanza e determinarono che fosse una violazione. Poi scoprirono che la ragazza si era fatta un tatuaggio durante un’uscita non supervisionata: un’altra violazione.

Tendo a credere che un altro fattore per la sua espulsione sia stato il fatto che il suo peso si fosse stabilizzato. Era quantomeno più stabile di quello delle altre pazienti. La sua assicurazione era scaduta, e sua madre scongiurò la clinica di tenerla un’altra settimana. Il conto lo stava pagando il padre. La madre disse allo staff dell’ospedale, È per il suo bene. La madre disse che suo padre non avrebbe finanziato un altro soggiorno del genere, e non c’era nessuno nel suo stato d’origine che la avrebbe potuta aiutare come poteva farlo la Renfrew.

Mi interesserebbe sapere come avrebbero soppesato la scelta di cacciarla se lei fosse stata più scheletrica. Con i disturbi alimentari, quali fattori determinano quanto una persona è malata? È come io vedo me stessa o come qualcun altro vede me?

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Mi interessa la forma delle mie cosce quando si trovano attorno alla vita del mio compagno. Hanno cambiato dimensioni tante volte. A volte i suoi occhi sono attirati dallo spazio tra le mie gambe. Penso che lui le preferisca quando sono al massimo della loro magrezza e anche io le preferisco così.

Odio come ogni volta che decido di riprendermi e mangiare una quantità normale di cibo io mi penta della mia decisione di essere così ligia. Negozio con me stesso: alcune persone bevono per dimenticare. Alcune persone giocano d’azzardo. Alcune persone fumano. Forse il mio fumare è non mangiare, o mangiare troppo ed epurarmi. Il mio vizio potrebbe essere così semplice se glielo permettessi.

La verità, però, è che non è semplice. Diventa fuori controllo, provoca problemi.

Dico a me stessa che dovrei diventare nutrizionista così potrei essere circondata dalla malattia degli altri. Potrei ossessionarmi apertamente su numeri, nutrienti e macronutrienti. Mi darebbe una scusa per continuare con i miei comportamenti nutrizionali malsani mascherati come sani, perché dovrei farlo per lavoro.

Dicono che gli psicologi studino e diventino psicologi perché sono pazzi e cercano di guarirsi. Il livello di ossessione per il cibo nei nutrizionisti che ho incontrato mi fa presumere che lo stesso valga per loro. Un punto di intersezione tra psicologo e nutrizionista deve esistere: provano a convincersi di stare bene mentre si immergono in un ambiente di altre persone malate che hanno bisogno di essere guarite. Annuso, assaporo, tocco l’atmosfera dell’anoressia e immediatamente sento la mancanza per qualsiasi cosa la riguardi.

Un piatto ben presentato di crudités, tagliare frutta a metà e conservare il resto per dopo, caffè nero, cereali ad alto contenuto di fibre. Il modo in cui i miei polpacci si distendono in lunghe ombre quando faccio una passeggiata alle tre del pomeriggio. Pantaloni abbastanza stretti da creare quel piccolo vuoto concavo tra le mie gambe.

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Sono sempre sorvegliata.

Non ho ancora detto al mio compagno degli incontri agli Alcolisti Anonimi. Parlargliene comporterebbe che io avessi un problema con l’alcol quando non è così (e se gli dico che ci vado per la mia ricaduta, allora saprà che ne ho avuto una).

Suppongo che non voglia che io abbia un problema con l’alcol dal momento che rappresenta una grossa parte delle nostre vite.

Tuttavia, preferirei avere attorno persone con dipendenza da alcol piuttosto che persone che si epurano o digiunano perché la dipendenza sembra essere la fonte del problema. Sebbene io abbia abusato di alcol per perdere peso (perché mangiare quando puoi bere?) e sia arrivata alla chetoacidosi alcolica (l’alcol riduce lo zucchero nel sangue, ma se non c’è glucosio nel tuo sistema il corpo può collassare) per due volte cercando di perdere peso, non considero me stessa un’alcolizzata né desidero crogiolarmi nella malattia dell’alcolismo. Io sono dipendente dai corpi. Sono dipendente dal consumo di corpi. Sono dipendente dal mio corpo, dal paragonare il mio corpo ad altri corpi malati. Sono dipendente dal consumare cose e poi sbarazzarmene.

Ho inviato una versione di questo saggio a una mia amica intima e mentore e ha detto, Sembra che tu sia dipendente dalla dipendenza. Dall’indentificarti come una persona con dipendenze. Forse ciò che rende la guarigione così poco allettante è il fatto che implichi che non possa più ospitare in me un senso di ossessione. Sono molti anni che sento l’ossessione come il motore che mi muove. Mi piace. Ossessionarmi mi trasmette una bella sensazione, deliziosamente dolorosa. Specialmente se su cose che non posso controllare.

Sono molto orgogliosa di quanto vomito venga espulso dal mio corpo.

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L’ex ragazza del mio compagno era anoressica e anche, a un certo punto, la mia migliore amica.

Non è giusto da parte mia dire che il mio compagno preferisce le mie cosce quando sono più magre. So che sto proiettando i miei gusti personali su di lui come un modo per continuare a essere malata, come un modo per proseguire una competizione inesistente con la mia migliore amica di un tempo.

Quando dico “migliore amica” quel che voglio dire è che digiunammo insieme per diversi anni e raggiungemmo insieme il nostro rispettivo peso minimo, prima che loro due cominciassero a frequentarsi. Fu molto romantico. E intendo che io l’ho romanticizzato pesantemente.

La ragazza di THIN che si è suicidata non ha mai rivelato il suo tatuaggio allo staff della Renfrew. Il tatuaggio se l’era fatto su un fianco, un semicerchio abbracciato da una lunga linea ondeggiante: il simbolo della guarigione da disturbi alimentari.

A volte il mio compagno si dimentica di mangiare.

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Mi dimentico della Corolla dorata.

Non dimentichi una storia d’amore come quella che riguarda la tua malattia preferita.

La gemella che amavo in THIN ha un profilo Facebook. L’ho trovato il mese scorso durante una delle mie ricerche ossessive lunghe ore mentre guardavo per l’ennesima volta il documentario. Mi autoconvincevo che non fosse necessario un trattamento o che potessi sostenere questo comportamento in cui riducevo al minimo la mia assunzione di calorie finché non fosse diventato impossibile lottare e che poi mi sarei abbuffata e poi epurata per compensare. Sul profilo Facebook, l’unica informazione rivelata dalla gemella era un evento importante della sua vita. Era diventata una consulente per disturbi alimentari a una clinica di recupero.

La sua foto profilo era un corpo molto magro in un abito molto aderente.





Elle Nash è l’autrice del romanzo “Animals Eat Each Other” (Dzanc Books) e della raccolta di racconti di prossima pubblicazione “Nudes” (SF/LD Books, 2021). I suoi lavori sono apparti su BOMB Magazine, Hazlitt, Guernica, Literary Hub, New York Tyrant e altrove. È redattrice fondatrice di Witch Craft Magazine ed editor per Hobart Pulp. Insegna in un workshop semestrale chiamato Textures.

Leggi la versione in inglese di questo saggio su HARSH: https://harshlit.rip/2020/08/19/thank-you-lauren-greenfield/

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“Grazie, Lauren Greenfield”, un saggio personale di Elle Nash, tratto dalla rivista americana Harsh e tradotto su SPLIT