fbpx
illustrazione La coscienza di zero - Mattia Cecchini - SPLIT

La coscienza di zero

Mi sento tirare giù. Da dietro. Una forza rabbiosa mi butta a terra. Ero appena arrivata alla macchina e stavo cercando le chiavi nella borsa. Scavavo tra il cellulare nuovo, i trucchi sparsi, un preservativo, un bracciale d’oro bianco, un paio d’orecchini che credevo persi, una piccola bottiglia viola di profumo. Eccole, mi era sembrato di vedere il portachiavi in pelle. Di colpo sono con la schiena sull’asfalto. Una mano nodosa mi serra le guance. Sento la carne della bocca che viene schiacciata addosso alle gengive, in mezzo ai denti. La mano nodosa mi stringe con più forza. Ho paura. Ho paura come la neve che si scioglie. È a cavalcioni sopra di me. È uno zingaro. Indossa una felpa nera, puzza. Il suo odore mi graffia le narici. È acido e mi sembra di avere chiodi nel naso. Mi urla addosso. Ha le labbra screpolate. Dalla bocca gli partono piccole stelle calde di saliva che mi cadono addosso. Mi franano addosso. Mi sento lapidata dalla sua bava. Sta con il muso sopra di me. Vuole schiacciarmi. I suoi zigomi sporgono, gli sbucano dal muso come se qualcuno li avesse tirati fuori a martellate. Continua a urlarmi contro. Parole dure come un pugno mi entrano nelle orecchie. Ho paura. Mi sento come la terra di un cimitero: prima viene lacerata, e poi ci si butta dentro qualcosa di morto. Lungo le cosce sento le sue scarpe. Mi strisciano addosso. Posso solo stare immobile. E zitta. Spero di perdere coscienza, come se stessi affogando in un mare tossico.

In un istante sono libera. Lo zingaro è volato via. Buttato via di peso. Lo schiocco sordo delle sue ossa che sbattono a terra mi raggiunge come una carezza. Geme, quel pezzente. E lui che geme è la promessa che tutto è finito.

Io sono ancora a terra. Sopra di me vedo un’enorme pancia gonfia e grassa, sembra voglia strappare la cinta di cuoio che la contiene. La pancia si china verso di me, come un sole che tramonta su una giornata sbagliata. Compare un volto tarchiato. Il naso è schiacciato, come quello di un pugile incapace. Sotto il naso, tra i folti baffi neri, spuntano ispidi peli grigi. I baffi fanno spazio a una voce tesa che mi chiede se sto bene.

Non conosco la risposta. Quindi mi volto. Guardo verso il microbo che mi ha aggredito. Ha la pelle di un colore che gli invidio. Tra poco tornerà l’inverno e io dovrò andare al solarium due volte alla settimana per avere la pelle di quel colore.


*

                                                                        

Alcuni negozi del centro commerciale hanno appena chiuso, altri stanno abbassando le saracinesche. Nel bar all’ingresso una ragazza stanca sta passando lo straccio, mentre il titolare fa i conti appoggiato alla cassa. Quasi tutti stanno uscendo dall’ingresso principale, attraverso le grandi porte a vetri automatiche, quelle che danno direttamente sul parcheggio scoperto. La rumorosa confusione delle ore di punta è svanita come la risata di un bambino con cui si smette di giocare.

Solo Vincenzo cammina in direzione contraria, verso il parcheggio coperto. Le gambe tozze sorreggono una pancia che da alcuni anni non smette più di gonfiarsi. Attraversa il centro commerciale e butta uno sguardo senza interesse verso le vetrine dei negozi chiusi, con le luci che iniziano a spengersi.

Raggiunge l’ascensore, aspetta in silenzio che le porte grigie si aprano e scende giù, verso il parcheggio coperto. Appesa al polso tiene una piccola busta di carta. La busta protegge il regalo di Vincenzo per sua figlia Irene. Si è fatto impacchettare una versione per bambini di “Zanna bianca” e, tra le ultime pagine, ha nascosto un segnalibro con scritto Roma.

Vincenzo dovrà guidare ancora fino alla punta d’Italia per consegnare il libro a Irene. Arriverà casa solo domani. Sua figlia strapperà la carta da regalo seduta per terra, la spargerà attorno a sé trasformandola in coriandoli. L’entusiasmo colorerà di rosso le guance di Irene mentre la tristezza, annidata come una zecca, prenderà a schiaffi quelle di Vincenzo.

“Quand’è che diventerai grande Irene? Quando finirà la magia? Quand’è che per te non sarò più il papà all’avventura in giro per il mondo ma solo il papà camionista che porta i surgelati al nord? Quand’è che comincerai a vergognarti di me?” Domani Vincenzo avrà schegge di malinconia conficcate addosso, mentre Irene, tra le sue braccia, gli dirà “Sei sempre il papà migliore del mondo!”

Le porte dell’ascensore si aprono di nuovo, e Vincenzo si affretta lungo il parcheggio vuoto. Gli fanno compagnia solo i ruvidi piloni di cemento, ordinati come soldati. Deve uscire alle spalle del centro commerciale per poter raggiungere la piazzola di sosta riservata ai mezzi pesanti, dove ha parcheggiato il camion.

“Mi sbrigo e stasera arrivo a Caserta, domani riparto presto e forse riesco ad andare a riprendere Irene a scuola. Magari la porto sul lungomare a fare merenda, da Domenico, e comunque devo fare qualcosa per questa…”

Vincenzo svolta a destra, vede l’uscita del parcheggio ancora lontana e, accanto a un pilone all’uscita, una ragazza. Sta frugando dentro la borsetta, di fianco a una Mini color panna. Indossa eleganti scarpe nere, i tacchi le slanciano il sedere e i capelli castani le cadono fino alle spalle. Non c’è bisogno, ma indossa lo stesso un paio di occhiali da sole dalla montatura in oro, sulla mano brillano tre anelli.

Vincenzo accelera, ancora di più, il passo verso di lei. Desidera augurarle una buona serata prima che salga in macchina.

Non lo farà.

Lo vede arrivare. All’inizio non capisce. Uno zingaro si lancia addosso alla ragazza. La scaraventa a terra. Le copre la bocca con le mani. Si butta cavalcioni addosso a lei. Lo zingaro urla parole dure. È stato veloce come il morso di una belva, violento come una quercia che cade. Ma è stato anche stupido come un topo che finisce in gabbia: non si è accorto di Vincenzo, e gli dà le spalle.

Vincenzo lascia cadere il regalo per Irene e corre verso la ragazza inerme, corre contro lo zingaro inconsapevole. Corre verso la ragazza cieca di paura, corre contro lo zingaro cieco di rabbia.

Afferra lo zingaro dal cappuccio, è leggero come una foglia secca, e lo sbatte a terra. Vincenzo si china verso la ragazza, le chiede se sta bene e, senza risposta, si butta sullo zingaro. L’attacca, lo colpisce con pugni di ghisa, e lacrime di sangue gli sporcano le nocche.


*


Tu sei quello che verrà pestato, non sarà giusto, non sarà sbagliato, e ti farà male.

Non stai mai attento, non pensi a quello che fai, cammini con il collo piegato sul cellulare, lo sgranchisci un secondo e lo pieghi di nuovo. Il tuo cellulare è una ghigliottina.

Ha ragione tua madre, quella demente, quella cagna che è in Italia da vent’anni e ancora t’insulta in albanese. Ha ragione tua madre, sei ancora un bambino, devi crescere.

Devi crescere, però già lavori. Lavori in un centro commerciale sputato in mezzo alla tristezza di una zona industriale. In un bar che ti ha succhiato via un altro pomeriggio. Ti sei fatto prosciugare la giornata in cambio di due spiccioli che suonano come la miseria. Ci comprerai una camicia scontata, il tabacco buono, e se avanza qualcosa ti ci scoli una birra in bottiglia. Non hai guadagnato nulla.

Ha ragione tuo padre, quel fallito, quel porco scappato dall’Albania per fare il muratore. Per costruire case popolari che verranno assegnate agli italiani morti di fame. Ha ragione tuo padre, tu e la tua famiglia fate schifo anche a quelli là, agli italiani morti di fame.

Stai uscendo dal parcheggio coperto, quello sul retro del centro commerciale. Cammini verso un buco di casa, sei ridicolo con quel cappuccio addosso, sembri un microbo che gioca a fare il cancro.

Ha ragione tua sorella, fa bene ad avere paura per te. L’hai vista nascere e hai scelto per lei il nome Anisa, quando era piccola le raccontavi favole, ora le racconti bugie. “Tranquilla Ani, quest’anno non mi bocciano, te lo prometto.” Lei ti crede. fida di te e per un po’ non ha più paura. Non ha più paura di rivedere tuo padre picchiarti perché sei un asino scemo. Perché hai perso un altro anno.

Prima di arrivare a casa vuoi fumarti uno spinello, cerchi il portafoglio, dove tieni le cartine. Infili una mano in tasca e trovi un fazzoletto usato, nell’altra solo il tabacco e i filtri. Dove l’hai messo? Controlli di nuovo e non c’è. Dov’è il tuo portafoglio? Ti agiti, sei sicuro di averlo preso questa mattina, e ora sei sicuro di averlo perso. Torni indietro al parcheggio coperto, fai la stessa strada. Se ti è caduto poco fa forse lo ritrovi. Acceleri il passo, stai quasi correndo.

Poi la vedi. Vedi una ragazza che raccoglie il tuo portafoglio. Ti fermi, sei immobile come una montagna di noia, e la guardi mentre nasconde il portafoglio nella borsetta, poi corre veloce verso la macchina.

Hanno ragione tuo padre e tua madre, tu sei stupido, non ragioni, ti arrabbi come una formica al sole sotto la lente d’ingrandimento. Ti cade addosso il fuoco e tu non sai come spegnerlo. Hanno ragione loro, tu finirai male.

Afferri la ragazza da dietro e la butti per terra. Le metti le mani in faccia. Come una valanga che sotterra una capanna. La blocchi mettendoti cavalcioni sopra di lei. Imprechi, urli e insulti. Senti la paura della ragazza, immobile sotto di te, sembra una pozzanghera da calpestare.

Poi in un istante sei tu quello che ha paura. Sei stato scaraventato via, buttato addosso all’asfalto come una cartaccia. Il fiato ti si spezza, hai sbattuto il fianco, fatichi a prendere una boccata d’aria. È stato quello là, quel grassone tarchiato. Ora ti viene incontro mentre tu sei pigiato a terra dal dolore. Prima vedi arrivare la sua pancia gonfia, poi i suoi baffi neri. Si piega su di te, ha il naso schiacciato, sembra quello di un pugile incapace. I suoi pugni ti deformano il muso, come se fosse fatto d’argilla. Tutto diventa nero, come un mondo che smette di respirare, al buio e senza colore.

Ha ragione Anisa. Se tu una sera non dovessi tornare a casa, lei impazzirebbe.




 


Mattia Cecchini nasce a Città della Pieve nel 1992 e non ci vivrà mai. Si laurea nel 2014 in Tecniche di radiologia medica e nel 2017 si trasferisce a Berlino. Lavora in un ospedale vicino allo zoo e partecipa a vari laboratori di scrittura creativa. Nel 2020 un suo racconto è stato selezionato tra i vincitori del “Concorso letterario Racconti Umbri”. Nella sua libreria ci sono (quasi) tutte le opere di Dostoevskij, D.F. Wallace e Pontiggia.

illustrazione La coscienza di zero - Mattia Cecchini - SPLIT
“La coscienza di zero”, un racconto di Mattia Cecchini per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni