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La strage di Fïtz, un racconto di Mauro Colarieti per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni

La strage di Fïtz

Nel momento in cui vede Sophie schizzare verso l’uscita della stanza con la naturalezza di una pallina di plastica su un tavolo da ping-pong, Noah si rende subito conto che qualcosa non va.

I suoi amici glielo avevano detto più volte: “Lasciala stare quella, è tutta pazza.”

Noah non osa disobbedire, odia l’idea di creare del dramma tra lui e i suoi coetanei.

Quando abiti in un piccolo paese ci sono poche cose divertenti da fare, e una di queste è sicuramente spettegolare sulla gioventù che ti circonda. Si parla di Fïtz, alla fine, questo tristissimo paesino di circa trecento abitanti al Sud della Svizzera. In fondo, lo sanno perfino loro, quei giovani tanto giudicati dal resto della comunità: pochi riusciranno a uscire da lì, e quelli che lo faranno finiranno in buona parte in qualche cattiva strada di Berlino.

Sono poche le persone che conoscono queste dinamiche meglio di Noah: quando sei figlio del sindaco e torni a casa con la coda tra le gambe dopo neanche un anno da universitario fuori sede, è impossibile per la gente non sussurrare il tuo nome con fare dispregiativo.

L’Inghilterra lo trattava bene, dopotutto. Aveva la sua indipendenza, studiava quello che gli piaceva… Eppure, Noah ha trovato giusto tornare in questa ragnatela di sguardi, circondarsi nuovamente di questa ruralità autodistruttiva.

Sophie, a suo parere, non è poi così diversa da lui.

Lavora in panetteria con i suoi, non sarebbe mai riuscita a sfidarli e andarsene di casa una volta finito il liceo. Non avrebbe avuto neanche i soldi per farlo, probabilmente. Amici non ne ha, amori nemmeno. Fluttua da una stanza all’altra come se si stesse allenando a diventare un fantasma per distanziarsi da una vita troppo patetica.

Dopo quell’incidente con l’impastatrice che l’ha portata a perdere il braccio destro, poi, le sue apparizioni in paese sono passate da rare a nulle.

Questa festa è stata probabilmente la prima occasione di Sophie in mesi per uscire dalla panetteria.

Con le sue Vans rosa, ormai sporche e bagnate, continua a scappare verso l’altro lato della stanza, spingendo delicatamente tutti, come se usando un po’ più di forza corresse il rischio di creparsi come una tazzina di porcellana.

Noah continua a sorseggiare la sua ripugnante bottiglia di spumante da quattro soldi. Continua a guardare Sophie come una farfalla che fa zig-zag davanti al suo naso. Continua la festa, continuano i respiri e continua la totale e inequivocabile indifferenza del resto del mondo nei confronti di Sophie Meier.

Quando la vede appoggiarsi alla maniglia con il busto nel tentativo di aprire la porta, Noah è ancora indeciso se intervenire o meno. Sta solo cercando di attirare l’attenzione, ma la tribù di Fïtz è troppo, troppo concentrata a ignorare la merda che li circonda e ad inquinarsi il cervello per potersene accorgere.

A differenza di Sophie, Noah non si fa troppi problemi a farsi spazio verso l’uscita. C’è poco che salverebbe di questo posto, una performance così artificiale, statica, come se fosse fatta di macchinari in plastica con un motore ripetitivo al loro interno.

 

Sophie sale le scale, non le interessa strapparsi l’abito da cocktail rosa pesca che sta indossando.

Non le importa più niente.

I suoi singhiozzi scivolano sulla scalinata come se fossero molliche di pane lasciate sui gradini per aiutare Noah a raggiungerla.

Nel momento in cui arrivano all’attico, la pioggia diventa fittissima.

La ragazza corre verso il bordo rialzato, ci salta sopra come un’equilibrista del Cirque du Soleil.

Si dirama come un albero, toccandosi la punta di un piede con le dita.

Noah si avvicina, ancora con la bottiglia di spumante tra le mani. L’acquazzone non sembra innervosirlo.

La musica della festa sembra sparire, la luna pure.

Non c’è niente a parte quell’attico deserto e le tempeste: quella dentro la testa di Sophie e quella fuori.

Se è acqua quella che scende dal cielo, è petrolio quello che scende dalle palpebre di Sophie, sfigurate da vene imponenti.

Sophie non è scontata quanto i suoi occhi lacrimanti, e lo sa.

Noah è invece troppo concentrato ad avvicinarsi a quella menade danzante del ventunesimo secolo senza farsi notare.

Non ha ancora capito che l’acqua sta diventando nera, spessa, solida quanto il cemento.

Sophie si accorge della sua presenza e quasi cade all’indietro.

L’ultima cosa che si aspettava era avere come pubblico una delle persone che più odiava tra i suoi coetanei di Fïtz.

In fondo, Noah aveva tutto. Lui ce l’aveva fatta. Lui ormai era fuori. Lui se n’era scappato.

Lui aveva lasciato questa città di sabbie mobili ai meno fortunati.

Sophie, sfortunatamente, odia la gente fortunata.

«Potresti scivolare,» mormora Noah, quasi ridendo.

Una goccia di quella pioggia nerastra lo colpisce sulla fronte. La percepisce e quasi si spaventa.

Non si copre, non indietreggia.

Sospira e tranquillamente abbassa lo sguardo sulle piastrelle.

«Non finirà bene,» aggiunge, mettendosi una mano nella tasca e dando fondo agli ultimi sorsi del suo spumante di dubbio gusto, senza smetterla di avvicinarsi.

Sophie interrompe le sue danze da ninfa urbana, ma rimane in piedi sul bordo dell’attico.

«Non ti conosco, quindi non–.»

«Io sì. Sei Noah Schärer, il figlio coglione del sindaco.»

Noah ride, fa spallucce, ma Sophie rimane seria, infuriata.

«La gente avrebbe ucciso per essere al tuo posto,» rincara la dose, mentre dal suo mento gocciola altro petrolio.

Il suo braccio mozzato è ora ricoperto di nero, poiché la spallina del suo vestito non fa disperdere le gocce tra le sue dita – anzi, le fa precipitare sul pavimento dalla fine del suo gomito.

«E tu ti stai buttando per…?» risponde Noah, come se gli insulti rivolti alla sua persona non fossero tanto importanti di fronte a una ragazza disperata, probabilmente pronta a spiattellarsi sull’asfalto dopo un volo di dieci metri.

Sophie guarda in alto, mentre un tuono preannuncia un cambiamento.

Si tocca l’inguine con la mano. Sta sanguinando.

Urla, ma ha la voce strozzata dal sangue che sta vomitando.

Noah, seppur con un filtro, riesce quasi a percepire il senso di dolore e sofferenza mentale che sta provando la figlia dei panettieri del paese.

Quando dal cielo comincia a piovere sangue, Noah lascia cadere a terra la bottiglia e si guarda le mani. Il vetro dello spumante si fonde con il nero del petrolio, ormai ricoperto a chiazze di rosso.

Sophie chiude gli occhi, produce dei piccoli respiri affannati e distende le braccia come in Titanic. Peccato che, in questo caso, la maestosa nave sia una cittadina già affondata da tempo.

Noah osserva, prova a sbloccare il suo cervello dall’idea di essere in un incubo fatto di petrolio, lacrime e sangue davanti a una sciamana completamente fuori di testa.

«Cosa vuoi dirmi? “Non farlo?”» chiede lei, mentre si dondola avanti e indietro. Il braccio e mezzo disteso sembra ora una sfida, una sfida per quell’equilibrio che Sophie ha sempre desiderato da quando era nata.

«Non stai pensando seriamente di farlo,» risponde lui, scioccato. «Sei instabile.»

«Alcune persone non meritano la stabilità.»

«Alcune persone non meritano la vita se devono buttarla via così presto.»

Sophie scoppia in una risata nevrotica come dei fuochi d’artificio il quattro luglio, trovando patetico il tentativo della psicologia inversa.

Alza delicatamente una gamba e la distende all’indietro, nel vuoto, in un misto tra l’eccentricità di un fenicottero appostato e l’eleganza di un gatto che si stiracchia. Continua a fissare l’occhio destro di Noah per mantenere l’equilibrio.

Ritorna con entrambi i piedi a terra, e tenta una piroetta.

Noah sente i brividi attraversargli la spina dorsale, mentre il rosso continua a cadere dal cielo come se ci fosse un enorme cadavere sanguinante legato alla luna.

«Sì, la ragazza con il braccio mozzato voleva essere una ballerina,» dice lei, mentre Noah continua ad avvicinarsi a passo felpato.

Tutto si ferma.

Le gocce di sangue rimangono sospese in aria, Sophie si gela.

Ora Noah si trova a pochi centimetri da lei.

Dopo essersi accorta del fallimentare tentativo di Noah di raggiungerla e fermarla, distende le braccia per l’ultima volta.

«Addio, Noah Schärer.»

Si lascia cadere all’indietro, con un velo di pace e purezza sul suo viso.

Il ragazzo ne approfitta per slanciarsi verso Sophie: la prende per il braccio mentre sta per precipitare da quel palazzo come un sacco di patate pronto a diventare purè.

Sophie urla, si dimena, rimasta a penzolare su quell’attico.

Noah cerca di tirarla su con le sue forze, ma è tutto così bagnato, scivoloso, sporco.

A poco a poco, la presa diventa debole.

Ci sono alcuni strani personaggi che osservano da sotto, ma rimangono fermi.

Giusto due o tre usano il cellulare, ma per la ragione sbagliata; come durante un concerto, i due ragazzi si ritrovano su un palco. Cominciano i video, le foto, i flash. Perfino qualche risata.

Noah non ha tempo di insultare nessuno.

In uno scatto finale, Sophie riesce a liberarsi.

Vola verso il suolo, senza smetterla di guardare Noah.

Il figlio del sindaco si copre la faccia, mentre il cuore gli esce dalla bocca.

Percepisce un’intensa luce investirlo e corrodergli la pelle.

Dopodiché, niente.

Noah è morto carbonizzato.

Ore dopo, mezza distrutta, Sophie raggiunge il viale di casa sua.

Con le braccia conserte, come per scaldarsi le costole rimaste, Sophie si lascia alle spalle le fiamme, le esplosioni. Si lascia indietro tutto.

Entra nella panetteria. I cadaveri dei suoi genitori sono ormai un ammasso di cenere sul divano.

Passa dalla cucina e accende la radio, unica cosa rimasta intatta in quella casa distrutta, dove un tempo una piccola Sophie faceva le piroette con una focaccia in mano e ballava coi suoi piedini sopra a quelli di suo padre.

La voce che parla sembra molto più seria quando Sophie alza il volume, ancora impegnata a pulirsi dal petrolio e dai lividi che ricoprono la sua pelle pallida.

“Fïtz, cittadina al sud della Svizzera, è stata completamente rasa al suolo nelle ultime ore. Al momento non ci sono piste da escludere, le indagini sono in corso e, almeno per il momento, non sembra esserci ombra di superstiti.”

Sophie si appoggia di schiena al muro, striscia verso il pavimento e si sfila la zip del suo vestito con la mano. In poco tempo, si ritrova completamente nuda a fare angeli di neve sulla cenere che ricopre il pavimento.

Le scappa quel naturale sorriso che appare sul volto di una persona che riesce a raggiungere il letto dopo una giornata impegnativa e stancante.

Sophie ha interrotto il tempo, non esiste più niente attorno a lei.

Ha perso tutto ciò che aveva e, così facendo, ha vinto ogni cosa.

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Mauro Colarieti nasce il primo aprile del 1997, stesso anno di Google, Titanic e della pecora Dolly. Originario di Romano, in provincia di Bergamo, evade dall’Italia alla prima occasione, trasferendosi a Falmouth, nell’estremo Sud inglese, per gli studi universitari.

I suoi racconti sono apparsi su riviste letterarie quali Carie, Verde e Narrandom, e ha esordito nel 2015 con Costellazione di brufoli, un romanzo Young Adult pubblicato da Lettere Animate.

Ha una grande passione per le palme, i quadri di Kirchner e i ragazzi in carne.

La strage di Fïtz, un racconto di Mauro Colarieti per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni
“La strage di Fïtz”, un racconto di Mauro Colarieti per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni

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Una settimana di racconti #90 | ItaliansBookitBetter
8 Settembre 2019 a 19:23

[…] La strage di Fitz di Mauro Colarieti su Split rivista online di Pidgin Edizioni […]