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illustrazione xLol Surprice® - Laura Marinelli

Lol Surprice®

[Novembre 2102]

Dall’entrata in commercio della bambola Lol Surprice® nel 2100, novembre è il periodo in cui si lavora di più. Nel mese prima di Natale, nei laboratori, nei negozi e nelle case, regna il caos.

Rinchiuse in piccole palle, le bambole maturano nelle celle embrionali degli stabilimenti tra i controlli degli addetti e quelli dei supervisori della Giochi Preziosi. Questi ultimi iniziano il giro di perlustrazione camminando con le mani dietro la schiena. Quando vedono il magazzino sommerso di Lol ancora da portare a maturazione, le mani le congiungono in preghiera: speriamo che il prodotto si completi per la fase di vendita, pensano. Ma è solo quando arrivano alle celle, che le mani le agitano, così come la lingua; tra sbraiti e sproloqui contro uno o un altro addetto.

«Siringate ‘ste palle. Ci sono ancora un sacco di bamboline da fare. Occorre spazio.»

«Ma potrebbero venir fuori malformate.»

«Siamo sommersi di richieste. Volgiamo che qualche bambina rimanga senza la sua Lol Surprice®

«No, no.»

«E allora, forza. Dateci dentro con gli ormoni.»


*


[Febbraio 2099]

«Cosa desiderano le bambine?» domanda l’art director Ber ai presenti in sala.

«Le Lol Surprise» rispondono questi in coro come studenti delle elementari.

«Ancora con le bambole di plastica? È ora di cambiare» dice, con un sorriso compiaciuto sotto il naso. «C’è una cosa che le nostre piccole acquirenti vorrebbero più di tutto» aggiunge, scandendo ogni parola. «Vogliono compagnia. O è solo mia figlia a chiedermi un gatto o una sorellina?» continua, sicuro di sé.

«Giusto!»

«Allora, cosa lancerà la Giochi Preziosi sul mercato?» chiede disseminando suspance più di un film horror.

[Silenzio.]

«Le Lol Surprice®» esclama, e accompagnando il suo entusiasmo con un gesto della mano, aziona il pulsante alla parete. Ologrammi di palline del diametro di nove centimetri affiorano dalla superficie dell’intonaco. Alcuni istanti dopo, le Lol Surprice® già rimbalzano o ruotano su se stesse al centro della sala.

«In questi involucri è stata iniettata la miscela che farà crescere la bambolina all’interno.»

«Incredibile.»

«Figo.»

«Queste che vedete ora, sono pronte per essere scartate. Hanno passato la fase embrionale delle tre settimane. Dentro, la Lol alta sette centimetri e in carne e ossa, si è già formata.»

«Ma perché saltano così?» chiede uno.

«Nel packaging, le Lol sono delle ginnaste. Stupende e con corpi da modelle giocheranno con le nostre bambine.» Ber rimane in silenzio per tenere in sospeso i colleghi.

«Le volete vedere?» dice infine, facendo uscire le parole solo da un lato della bocca. Preme un tasto sul muro e le palline si materializzano in ologrammi di bamboline.

«Eccole.» Dieci ragazze in miniatura camminano sul tavolo. Si tengono per mano e ridono felici.

«Non si può sapere che tipo di Lol capiterà alla nostra acquirente, dipende dal tipo di composto che le ha generate. Alla bambina potrà capitare questa negretta. Oppure quest’altra vestita da infermiera; e che ne dite di questa con i pon pon?»

In mezzo al tavolo, le Lol, dopo la fase di presentazione, saltellano sui fogli e fanno capriole. Una di loro balla su un panino del rinfresco. Un’altra ancora, in un bicchiere, si fa il bagno nella Coca Cola. Quella col vestitino e gli stivali, tra gli sguardi libidinosi degli uomini in sala, si avvicina al bordo del tavolo. Guarda il pavimento chinata a novanta, mostrando mutandine e autoreggenti. Il più giovane dei presenti non resiste, cede per primo. Si alza dalla sedia e le si avvicina, allunga la mano e, congiungendo il pollice con l’indice nel gesto che da piccolo lo liberava della caccola rimasta attaccata al dito, le molla una schicchera sulla schiena e la fa cadere dal tavolo. La Lol non grida, né durante il volo né nel momento dell’impatto.

«È una cosa che stavo per dirvi. Le Lol sono mute e niente intelligenti. Sono silenziose per non infastidire, e stupide per non far affezionare chi le riceve. Incidenti come questo sono all’ordine del giorno. Le bamboline moriranno con facilità se in casa ci sono neonati che mettono in bocca tutto, o se qualcuno non darà loro da mangiare o al contrario le ingozzerà di cibo. La donna delle pulizie potrà risucchiarle con l’aspirapolvere, o le bambine soffocarle col rossetto. Moriranno comunque dopo un mese dallo scarto. Sono state concepite per durare pochissimo, mentre il mercato non avrà fine.»

«Sei un fottuto genio.»

«Ne hai una vera?»

«Sì. Vado a prenderla.»

Ber si allontana dalla stanza, dopo un po’ rientra con una pallina.

«Dovrebbe essere la più vicina alla maturazione» dice, soppesandola con la mano. Poi la passa ai colleghi.

«Sicuro che è pronta?» dice il primo scuotendola come una maracas.

«Fammi sentire.» dice il collega a fianco sbatacchiandola anche lui.

«Quante storie, scartiamola.» ordina il responsabile marketing.

In piedi, l’uomo inizia ad aprirla come avesse a che fare con un grande leccalecca; usa entrambe le mani e butta i resti per terra. Quando finisce, la bambolina che gli rimane tra le dita si muove appena.

«Ma è morta?»

«No, respira.» Rannicchiata sul palmo della mano, la Lol sembra composta da ossicini di pollo. Ha indosso un vestito da odalisca.

«Balla!» le grida l’uomo. La bambolina muove la pancia su e giù ma non per il comando ricevuto; disperata, si rende conto di non riuscire a muovere le braccia. Prova quindi con le gambe: niente, sono rotte anche quelle. Solleva allora la nuca, i capelli arruffati sembrano una criniera; ma sono altri, i leoni intorno a lei che la guardano famelici.

«Non so a voi, ma questa me l’ha fatto diventare duro» dice qualcuno.

«Pure a me.»

Col pollice e indice, ora il responsabile marketing tiene la Lol per i capelli. La pelle tirata ai lati del viso le allunga gli occhi. La bambolina non si muove, solo la bocca spalancata sembra cercare altro spazio per aprirsi di più.

A fissarla, ci sono anche altri occhi, piccoli come i suoi. Gli ologrammi, fermi come oggetti sul tavolo, hanno smesso da un pezzo di fare coreografie.

«Tenete» dice l’uomo posando la Lol. Scansate le finte bambole con le mani, i colleghi mettono in moto i polpastrelli su quella vera. La piccola danzatrice del ventre viene assalita ovunque: sul seno, sugli occhi, sull’ombelico, tra le gambe.

«Avete visto? È bionda pure sotto.»

«Sei un pervertito.»

Gli uomini si fermano per guardarla. Il verde del vestito non si nota, perché è il viola il colore a predominare: le parti nude del suo corpo sono livide, la bocca tumida è aperta, stavolta meno degli occhi.

«Ma è pipì, quella?»

«No, è eccitata… Certo che è pipì! È terrorizzata! Che, non te ne sei accorto?»

«Posso portarla a casa?» dice il tizio dalla schicchera facile.

«Se vuoi,» gli risponde Ber.

Il ragazzo se la mette sul palmo della mano.

Come un granchio ribaltato in un secchiello lasciato al sole, il costato della bambolina si muove appena. Le chele, ce l’ha solo lui che riprende a toccarla.

«Ma che fai?»

«Be’…» dice, «non si può morire vergini» e preso uno stuzzicadenti da sopra un panino, inizia a girare.

«Così la uccidi,» dice Ber.

«Sarebbe morta comunque. Quando mia figlia l’avrebbe portata a scuola, tra i libri nello zaino avrebbe fatto una fine peggiore, te l’assicuro.» Una volta finito di usare la Lol come un temperino per fare la punta allo stecchino, il ragazzo butta entrambi nella spazzatura.

«E ora?» dice uno.

«Ber, Ber, e ora?»

«Niente,» risponde l’art director. «Tra un paio di giorni saranno pronte le altre.» Poi spinge la parete e gli ologrammi rientrano piano piano nel muro.

Finita la riunione, nella stanza entra l’inserviente per pulire. Con sé si è portato il cane. La bambolina a terra ha i codini sporchi di rosso. In mezzo alla testa, la scriminatura non è quella della pettinatura ma una frattura. Dal cranio è uscito sangue. Come lo tolgo? pensa l’uomo, mentre con la scopa cerca di raccogliere quella cosa per passarla nella pattumiera. Quando vede che le setole restano pulite, capisce che ha a che fare con un ologramma. Felice, si rincuora di non dover pulire.

«Smettila, è finta» dice al cane, che invece continua a leccarla.

Chissà se tu sei vera o no, pensa l’inserviente dell’altra bambola trovata annegata nella Coca Cola. Nel bicchiere, galleggia gonfia come un iceberg rivoltato. Quando la butta nel wc, nel cadere in acqua la Lol non soleva schizzi. «Bene sei un ologramma. Ma aspetto che sparisci, meglio non rischiare di otturare il cesso,» le dice, guardandola rannicchiata tra la carta igienica che qualcuno non ha scaricato.

Ora, fermo davanti al secchio, il cane annusa la spazzatura. Fa per sollevare il coperchio ma non ci riesce. Ci riprova, ma ancora gli cade sul muso.

Ritenta. Il coperchio si alza e poi si abbassa. Sembra voler parlare.

«Andiamo, su.»

Il cane non l’ascolta. Senza scodinzolare resta lì, su quel bidone muto.


*


[Vigilia di Natale 2112]

Senza dare il tempo ai denti di masticare, la bambina si mette in bocca un’altra forchettata di lasagna.

«Non t’ingozzare,» le dice la mamma.

Incurante, la bimba continua a rimpinzarsi. Sa che prima finisce di cenare, prima potrà scartare i regali; e sotto l’albero, l’aspetta la sua Lol Surprice®.

«Posso ora?» chiede dopo un po’ alla mamma, mostrandole il piatto vuoto.

«Vai, e chi ti tiene più.»

Di corsa, la bambina si precipita in soggiorno. Tra i doni, afferra al volo la pallina che rimbalza e, con le mani sporche di ragù, in pochi secondi la scarta.

«Mamma, mi è capitata la Lol vestita da sirena,» dice trasognata, appena la vede uscire dall’involucro.

«Guarda che capelli lunghi che ha, sono morbidi,» continua a elogiarla senza toglierle gli occhi di dosso; mentre s’avvicina al tavolo con la bambolina stretta nel pugno della mano.

«Sono contenta per te, tesoro,» le dice la mamma sorridendole.

«Fammela vedere,» le chiede il fratello che s’è alzato dalla sedia per andare vicino alla sorella.

«No, è mia.»

«E dai, dammela,» le grida il fratello.

«No.» È ancora la risposta della sorella che sposta la Lol Surprice® nell’altra mano per allontanargliela di più.

«E io posso guardarla?» chiede curioso il nonno seduto a tavola davanti ai due.

La bambina non può rifiutarsi, e gliela mette sotto gli occhi.

«Che peccato» dice il nonno «Hai visto la mano destra? Ha le dita appiccicate in un unico blocco.»

«Sì è vero. Non ci avevo fatto caso.»

«Così, sembra una delle vecchie Barbie o a una Lol Surprise» continua.

«E dai, dalla a me.» Il ragazzino non s’arrende, riprende ad assillare la sorella.

«No. Ho detto che è mia» risponde lei.

«Basta!» urla la mamma esasperata. «Giocateci insieme,» continua.

«Perché non le facciamo il bagno?» propone il fratello.

La bambina s’illumina. «Sì. Vediamo se sa nuotare,» dice.

«Eh, ragazzi,» s’intromette la donna sentendo i loro discorsi. «Usate l’acqua fredda però. Non sprecate quella calda per un giocattolo.»





Laura Marinelli è del ’78 e vive a Roma. Dopo la laurea in giurisprudenza e un master in marketing lavora come impiegata nella grande distribuzione. Da piccola, tra due giornalini di Diabolik, sceglieva di compare quello che finiva col bacio tra i due ladri. Tra Paperino e Topolino preferisce il primo, ma solo se non si traveste da Paperinik. Ha pubblicato per Narrandom, Pastrengo e Blam. A breve uscirà su La nuova carne, Ellin Selae, Malgrado le mosche e Sulla quarta corda. Altri suoi racconti sono su antologie.

illustrazione xLol Surprice® - Laura Marinelli
“Lol Surprice®”, un racconto di Laura Marinelli per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni