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Rivoluzione

(Racconto tratto dalla rivista PANK Magazine e tradotto dall’inglese da Leonarda Grazioso)



Autunno

Il mattino del loro quinto anniversario di matrimonio, lui le regalò una borsa di tela. «Un nuovo progetto,» disse, facendo scorrere la borsa sul tavolo della colazione.

Dentro c’erano guanti a fantasia, mini rastrelli e palette di metallo e un assortimento di bulbi pronti per essere piantati. «Là,» disse, indicando al di là della porta a vetri l’ampia striscia di terra – coperta di erba itterica per la siccità – sotto la finestra della cameretta abbandonata. «Vaffanculo ai vicini e ai loro gigli.»

Lei esitò, poi cedette. «Già,» disse, selezionando i narcisi dalla borsa. «Tutti quei gigli bianchi. Non siamo mica in Olanda.»

«Né in Connecticut,» sbuffò lui, senza degnarsi di correggerla. Scelse i tulipani, progettando una distesa arcobaleno.

«È questo il nostro progetto ora,» disse lui.

«Sì, basta,» concordò lei, con la voce roca. Ci avevano provato per tre anni senza risultati.

«Diamoci da fare,» disse lui, e batté le mani, la nota di chiusura di un componimento non riuscito. Lei rovesciò sul tavolo il materiale che aveva accumulato, e insieme strapparono promemoria di appuntamenti, stracciarono calendari, spezzarono aghi sterili, spaccarono test di gravidanza inutilizzati e tolsero pillole da blister di plastica. Quando finirono, rimase un’inutile pila di macerie. Lui lanciò dei brandelli in aria, li fece cadere come coriandoli e poi baciò il sorriso gelido di lei. Smisero di fare sesso.

Corsero a piantare, il primo gelo era arrivato prima del previsto, il terriccio superficiale aveva la consistenza del pane vecchio di una settimana. Con le mani guantate annidarono i bulbi giù dove la terra era sbriciolata e umida.

«Quindici centimetri di profondità,» decretò lui.

La testa di lei oscillò su e giù. Scavò fino a venti.

Gli passò il righello. «Lascia dieci centimetri in mezzo.»

Lui annuì, calcolò la distanza a occhio e ne lasciò a stento sette.

Lei spruzzò i mucchietti di terra con un annaffiatoio, il tubo da giardino silenzioso ai piedi di lui.

Rientrarono in casa a sorseggiare un caffè tiepido.



Inverno

Fecero colazione con vista sul giardino, poi ognuno andò per la sua strada, preso dagli impegni quotidiani. La sera, molto dopo il calar del sole, si aggiravano furtivamente per le stanze, stringendosi agli spigoli, respirando tesi, ritirandosi ai lati opposti del letto che condividevano a contemplare le pareti vuote.



Primavera

L’aria si fece più tiepida. Settimana dopo settimana, scrutavano il giardino in attesa di scorgere qualche germoglio. Schermandosi gli occhi, setacciarono la striscia di terra a caccia di eventuali lumache, parassiti, talpe. Testarono il terreno: fertile, con un buon mix di nutrienti.

Seduti a tavola, sorseggiando un caffè ormai freddo, fissavano al di là della porta a vetri il fitto letto di gigli bianchi dei vicini, i fiori timidamente inclinati al sole, mentre la folta nidiata di biondini irlandesi, con quel chiassoso e scalmanato lanciare di palloni e racchette, per poco non colpiva i boccioli.

«È un’esagerazione fare così tanti figli,» disse lui, con il polsino inamidato che sfiorava la confettura sul toast.

«Sì,» disse lei, malgrado sei non le sembrasse poi uno sproposito. «Non siamo mica in Connecticut.»



Estate

Presero a scavare. I guanti macchiati di terra e gli attrezzi arrugginiti aprirono enormi buche inquisitorie. Trovarono i bulbi indisturbati, accoccolati, pazienti. Gettarono a terra guanti e palette, poi rientrarono in casa. Chiusero le veneziane lanciandosi occhiate accusatorie – sospettavano interferenze, troppa acqua, attenzioni soffocanti.

Quella notte, mentre contemplava il suo lato di muro, lei osservò che lui aveva smesso di comprarle le sue caramelle preferite. Senza voltarsi, lui rivangò un commento che lei aveva fatto sul suo profumo. Lei s’innervosì perché la madre di lui stava sempre a farsi i fatti loro. Lui ribatté che detestava quella piagnucolona della sua amica Karen. Lei gli contestò il denaro che aveva perso in un investimento rischioso, cedendo alle pressioni del capo. Lui la tartassò per il messaggio di un collega che lei fastidiosamente soprannominava “suo marito sul lavoro.” Lei lo schernì, dicendo che all’inizio le era sembrato più attraente suo fratello. Lui sbraitò che aveva odiato il suo abito da sposa.

Lei si voltò, in fiamme, affondandogli le unghie nel petto, incidendo strisce rosse sulla sua pallida carne. Lui le afferrò le mani e la strattonò a sé mentre lei gli mordeva la mascella, poi precipitarono sul pavimento, rovesciando il comodino.



Autunno

Quando l’aria si fece più fresca e l’effluvio delle costolette di maiale alla brace la fece contorcere, lui era in piedi sul patio e ripensava al folle scontro che aveva prodotto il risultato tanto a lungo desiderato. Lasciò le costolette ad affumicarsi, l’aroma intenso e dolciastro che gli faceva venire l’acquolina in bocca, e prese a riempire le buche sotto la finestra della cameretta a mani nude, con la terra che gli si infilava sotto le unghie. Dopo un po’ lei lo raggiunse, carponi, e le loro braccia spoglie si sfioravano, i loro palmi compattavano il terriccio dissodato, i gigli dei vicini ormai dimenticati, morti e sepolti.






Leggi il racconto in lingua originale qui: https://pankmagazine.com/piece/revolution/

“Rivoluzione”, un racconto di Vinessa Anthony DiSousa tratto dalla rivista letteraria americana PANK Magazine e tradotto da Leonarda Grazioso per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni