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illustrazione Spina - Daniela Montella - SPLIT - Pidgin Edizioni

Spina

D’altronde chi poteva immaginare

che il vecchio avesse in sé

tanto sangue?


Lady Macbeth





Come si può definire il suono del caffè quando esce?, si chiede Spina guardando la caffettiera. Molti usano la parola “borbotta”, ma non la convince: somiglia al rantolo gorgogliante che fa Cherie quando usa il collutorio, pensa. Qualunque cosa sia, la caffettiera non la sta facendo. Spina la sta fissando, e il caffè non esce quando si fissa.

Spina lo sa, ma non distoglie lo sguardo. È sempre stata sensibile alla vista del sangue, e l’uomo sul tavolo ne sta perdendo parecchio. Può evitare di guardarlo, ma per l’odore non c’è soluzione. Spera che il caffè copra anche quello.

Il caffè è la sua fissazione.

Nancy ha i numeri. Per lei i pari portano bene, i dispari male. Quando sono a un numero dispari, si fa sempre il segno della croce. L’uomo sul tavolo è il numero sedici. Fatoumata, invece, ha il mango. Si lamenta del fatto che in Italia costa troppo e che non è buono come in Costa d’Avorio, ma quando operano lo mangia lo stesso. Cherie ha un’igiene ossessiva. Anna ha lo smalto, il trucco, le acconciature elaborate su cui lavora per ore.

Spina pensa che dovrebbero darsi un nome. Non che ne abbiano mai parlato: il piano ha sempre avuto la priorità assoluta. Hanno passato quasi un anno a stabilire le dinamiche. Bisognava trovare il posto giusto, trovare le persone adatte, definire i ruoli. Non c’era un vero e proprio capo, anche se tutte pensavano che fosse Spina. D’altronde, l’idea era stata sua.

Era successo per caso: lei e Nancy si erano incontrate dopo tanto tempo e si erano fermate a prendere un caffè insieme. Dalla radio del bar si era sentita una notizia. Il barista aveva commentato in malo modo, sputacchiando. Nancy aveva cominciato a fissarlo con odio. Spina, allora, per alleviare la tensione, aveva provato a fare una battuta. Certo, sarebbe bello se… e Nancy si era voltata a guardarla. Sì, aveva risposto, sarebbe bello. Era cominciata così.

«Ho finito,» sussurra Nancy.

Spina si volta a guardarla. Sono tutte lì: santone avvolte in catafalchi di plastica bianca. Al centro, sul tavolo, l’uomo giace nudo. Al posto del cazzo e delle palle, ora, ha un bottone rosso. Formerà croste, si toglierà, lascerà una cicatrice. Un vuoto dove non potrà crescere più niente.

La caffettiera borbotta, gorgoglia, brontola rauca, rumoreggia, gorgheggia, parlotta, o quel che è. Bastava smettere di guardarla, pensa Spina.

Nancy si toglie i guanti e ne chiede una tazza.

L’odore non copre il sangue.

Spina versa il caffè. Lo bevono. Il pavimento è coperto di plastica e il sangue si accumula nei punti in cui è piegata. Nancy e Anna hanno il compito di pulire. Le altre devono portare via l’uomo. Per quello c’è il baule. Grande, resistente, con le ruote. Ce lo infilano dentro e lo portano verso il furgone. Si sveglierà presto. Sarà il dolore a farlo, e loro dovranno essere lontane.

Sono le quattro del mattino: l’ora dei fornai e dei pasticcieri. Devono stare attente a come guidano. Fatoumata conosce tutte le strade in cui la videosorveglianza è carente o inesistente. Sono vicoli del centro storico, stretti e pieni di buche; sanpietrini e toppe di bitume nero che fanno un rumore tremendo. Bisogna guidare piano. Avanzano fra i palazzi alti e silenziosi, dalle mura scrostate. Spina pensa sempre agli insonni. Qualcuno potrebbe svegliarsi, affacciarsi alla finestra, vederle…? Ci pensa sempre, forse perché non conosce bene quelle strade. La penombra di quegli angoli silenziosi e pieni di pericoli, illuminati solo da qualche edicola votiva, le ha sempre messo paura. È cresciuta in un quartiere perbene, con grandi viali alberati e palazzi antichi. Anche quelli che vede ora sono palazzi antichi, in teoria. Ci pensa, poi si corregge: vecchi, sono solo vecchi. Si è sempre rifiutata di conoscerli. Adesso ci vive, ma non vorrebbe. Fatoumata, invece, che ci è cresciuta, è come una guida esperta nella giungla. Studia i tragitti a memoria per evitare le telecamere. Elenca tutte le svolte da fare.

«A destra… ferma, c’è il semaforo… sinistra… rallenta.»

Alla guida c’è Spina. Indossa una felpa nera imbottita con la gommapiuma per farla sembrare più grande. Porta un cappello con la visiera. Anna le ha insegnato come truccarsi per modificare i contorni del viso. Fondotinta chiaro, fondotinta scuro. Allungare e ridurre. Un gioco di ombre, le ha spiegato.

Arrivano nel punto di scarico. Fatoumata ne sceglie sempre uno diverso. Spina continua a chiedersi cosa avverrà il giorno in cui finiranno i punti sicuri: useranno quelli di prima? Si fermeranno? Cambieranno città? Forse è l’unica a preoccuparsi. Rallenta quel tanto che basta per permettere a Cherie di aprire le porte e svuotare il baule. Si sente un tonfo sordo. Spina guarda la strada dallo specchietto retrovisore. L’uomo è lì, a terra, ancora incosciente. Solo che ora è vestito.

Da quando hanno cominciato, a Spina sembra di vivere sempre la stessa notte. Cambiano solo gli uomini e le strade. A volte cambiano le parole che si dicono. Altre volte il caffè esce bruciato. Ma i movimenti sono sempre gli stessi. Predatori e prede. Attesa e caccia. Punizione. Correzione. Evirazione. Caffè. Pulizia. Nascondere le tracce. Tornare nell’antro. Le preoccupazioni. Il suo sentirsi sola con una paura non meglio identificata. La colpa e l’entusiasmo. Esaltazione. A volte si sente semplicemente divina. Divina.

«Attenta,» sussurra Fatoumata.

Stava quasi per passare col semaforo rosso.

Quando tornano a casa la cucina è già pulita. Nancy e Anna stanno lavando la plastica. La divideranno in varie buste e le butteranno in giro per la città. Faranno a turni.

Passata la notte operativa, è il momento della colazione. Fatoumata si gode il suo mango sciapo e costoso e Spina prepara un altro caffè. È il momento in cui passa dall’esaltazione divina alla paura.  Pensa che sia così anche per le altre. Parlano poco. È una vita di attese. Il teatrino mediatico deve ancora cominciare. Senza contare le dichiarazioni degli inquirenti, la vera parte importante. Devono inseguire i propri passi lungo gli articoli e gli speciali in tv per capire se sono vicini a scoprirle. Stanno diventando famose. Influenzano le vite degli altri. Ci sono sempre meno persone che escono la sera. Ci sono anche meno aggressioni verso le donne. Nessuno sa quale sia il motivo per cui questi uomini vengono presi: nessuno dei corretti ha voluto parlare di quello che stava succedendo. Spina si chiede se qualcuno di loro l’abbia capito, o se abbia pensato soltanto a una casualità. Devono averlo capito. Devono, si dice, e una parte di sé sa che è così. Quegli uomini si tengono il loro stupido segreto, ma hanno capito perché sono stati corretti. Un’altra parte di sé, invece, le dice che forse si ritengono ancora delle vittime innocenti. Che in fondo tutti fanno così. Che è stato solo un caso, una fatalità. Respira. Non deve arrabbiarsi, non deve. Non serve. Non importa quello che capiscono i corretti. Sono in missione. Importa solo fare il proprio dovere. Soprattutto, importa non farsi trovare.

Ognuna di loro aspetta le notizie del giorno sintonizzata su un canale diverso. Chi alla radio, chi al telefono, chi su internet. Anna si aggiusta lo smalto davanti alla televisione. Spina la guarda allungare i piedi sul tavolo dove, poche ore prima, hanno evirato l’uomo che aveva cercato di stuprarla. Non sa se sia indifferenza o la forza dei suoi vent’anni. Spina li ricorda poco; immagini vaghe. Amava cose che ha dimenticato. Spina non è come Anna: lei osserva e tace.

La donna in televisione parla in modo severo. Un altro attacco nella notte. Stessa modalità. Si cercano i responsabili. Spina sente il sospiro di sollievo delle altre. Ha detto i responsabili, al maschile. Finché cercano degli uomini, sono al sicuro. Possono dormire tranquille.

Dormire è una delle attività preferite da Spina. La vita in comune non lascia molto spazio alla riservatezza, e il letto è l’unico posto in cui può stare da sola. Ha portato poche cose con sé. Uno spazzolino da denti, due mutande, un solo ricambio di vestiti neri e un quaderno su cui annota tutto. All’inizio scriveva pagine intere, poi ha cominciato a segnare poche frasi.

Sul quaderno segna il nome del numero sedici, generosamente offerto dal servizio in televisione. Della caffettiera scrive: gorgoglia, rantola, borbotta. Della giornalista, invece, scrive: seria. Sul rigo sotto aggiunge: cattiva.

Quel quaderno sarà una delle prove più importanti al processo.

Le prenderanno nel furgone, alla ricerca di un punto per scaricare il numero ventuno. Al momento dell’arresto Spina sarà l’unica a mantenere la calma. Penserà che, in fondo, Nancy l’aveva detto che i numeri dispari portavano sfortuna. Spina non cambierà idea neanche in quel momento. Per Spina non sarà mai sfortuna, ma qualcosa di inevitabile. Penserà che è solo la stessa storia che si ripete. Penserà di poterla cambiare. Non avrà bisogno della paura. Le altre cercheranno di patteggiare, di coprirsi a vicenda: Spina no. Spina dirà tutto subito, dandosi la colpa. Era una mia idea, dirà. Cercherà di far scagionare le altre. Le ho convinte, le ho stregate, le ho costrette. Farà di tutto per liberarle. Gli inquirenti non sapranno mai dire il perché. I giornali speculeranno sul suo volto di ghiaccio. Alcune testate più audaci cominceranno a chiamarla “la martire”.

Questa è l’impressione che farà anche in tribunale. La voce calma a elencare, senza peso, tutto quello che hanno fatto. Racconterà senza enfasi il suo piano. Leggerà stralci dal suo quaderno a voce alta, davanti a tutti. Eviterà gli sguardi dei ventuno uomini che sono riuscite a correggere fino a quel momento. Per lei non esisteranno più. Perfino i giornali li dimenticheranno. Tutti saranno affascinati dalla sua figura austera al banco dei testimoni, con gli occhi verso l’alto e le braccia aperte. Una santa da cartolina.






Daniela Montella è una drammaturga, copywriter e vignettista.

illustrazione Spina - Daniela Montella - SPLIT - Pidgin Edizioni
“Spina”, un racconto di Daniela Montella per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni