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Ragnatela

Nell’appartamento sopra al mio ci sta un signore che gli è appena morta la moglie. Non so se anche prima faceva così, ma se riesce a incantonarti t’attacca delle pezze che dopo un po’ devi agitare i diti dei piedi nelle scarpe. Persino i testimoni di Geova han smesso di suonargli… Lo vedi nel cortile, a caccia di qualche disgraziato da rincoglionire con quelle balle sulla politica, sui libri; faceva il maestro, e quando ti parla sembra che c’ha ancora la bacchetta in mano: “avrei”, “avesse” e via andare, come se a uno gli importa di ‘ste cazzate.

L’altro giorno mi becca nell’ascensore e mi fa: «Allora giovanotto, ha visto che guaio?»

Son rimasto a pensarci, perché di guai c’è n’è un sacco, soprattutto intorno a me. Visto che non dicevo niente ha continuato. «Questo virus, intendevo. È singolare che una cosa talmente minuscola, in realtà neppure una forma di vita propriamente detta, possa costringere l’apice evolutivo a cambiare abitudini.»

Io ho guardato la lucina dei piani; mancavano ancora tre pallini. Non avevo scampo. Ho fatto un verso, come a farmi uscire qualcosa dal naso, e lui ha sorriso; aveva un dente d’oro, non m’ero accorto.

«È sconsolante anche per me, concordo. Senta, non è che la gradirebbe una tazza di tè? Ne prendo sempre a quest’ora.»

A me il tè fa cagare, ma gli ho fatto un cenno e l’ho seguito.

Casa sua è meglio del buco dove sto io. C’è un odore migliore, e dei tappeti per terra che devono valere un sacco. Anche la roba piazzata sui mobili dev’essere costata un mucchio. C’era una foto della moglie; ha visto che la guardavo e subito si è messo a raccontare di come fosse brava, buona, bella, generosa, insomma tutte le stronzate che si dicono dei morti. Poi mi ha dato il tè. Faceva schifo, puzzava di medicinale, ma lui se l’è bevuto tutto contento neanche fosse birra.

L’ho bevuto anch’io; mica potevo dirgli di ficcarsela in culo, la brodaglia. Non dopo aver deciso di farmi il suo appartamento.

Io e Spillo potevamo tornare lì quella sera e portare via tutto. Persino quel cazzo di dente che continuava a farmi scintillare davanti con tutti quei sorrisi.

Doveva esserci della fresca lì dentro, uno non compra roba del genere se non ha soldi da parte.

Ho pensato che Spillo avrebbe saputo come farlo cantare; io non ho il suo stomaco, ma l’ho visto lavorarsi la moglie del tipo quel giorno e mi è bastato: prima di schiattare ha mollato tutto, borsetta, anelli, collana, persino la medaglietta sulla catenina. Che poi è l’unica roba che è toccata a me.

Ma questa volta sarebbe stato diverso. Non ero il palo, ma quello che lo faceva entrare.

Guardavo il vecchio che parlava e pensavo alla scusa da usare per farmi aprire quella notte. Solo che non riuscivo a concentrarmi; tutte quelle chiacchiere mi tiravano scemo. Mi facevano girare la testa.

Ho provato a tirarmi su ma le gambe erano incollate alla poltrona.

Lui ha chiuso la bocca; mi ha guardato fregandosi le mani. «Bene,» ha detto. Poi è scomparso.



Quando ho riaperto gli occhi era ancora lì. Mi faceva male la testa e dovevo aver vomitato perché c’era una puzza terribile. Mi sono chiesto cosa ci trovasse di tanto divertente, da averci quel sorrisetto da frocio.

Allora mi sono accorto della corda. Ho provato a muovermi ma ero legato alla poltrona.

Lui è stato a vedere che mi dimenavo; la cosa peggiore era che non diceva niente: dopo tutto quel parlare stava tutto zitto, come se stava a guardarsi un film.

Però alla fine si è alzato. Mi è venuto davanti e mi ha aperto il colletto. Ha strappato la catenina e me l’ha messa davanti alla faccia. La medaglietta andava di qua e di là, ma son riuscito a leggere.

Dio ti protegga, c’era scritto.

Poi è andato a prendere il coltello





Luca Alessandrini è un ex calciatore, ex edicolante, ex bel ragazzo. Tecnico di laboratorio analisi e, grazie all’insistenza di sua moglie, falegname, massaggiatore Shiatsu, intrecciatore di coroncine celtiche e martire in attesa di beatificazione. Vive in un borgo contadino sul fiume Conca, attorniato da un numero considerevole di polli, mucche e maiali. E da una serie imprecisata di storie da raccontare.

Grazie alla partecipazione a concorsi letterari ha pubblicato all’interno di due raccolte di racconti: “È sempre tempo di eroi” c.e “il Cerchio e “Il ritorno del Re” c.e. “Il Cerchio. Oltre a questo ha pubblicato varie poesie sempre grazie alla partecipazione a concorsi letterari. Recentemente ha vinto il concorso letterario della rivista Bref Cubia con il racconto “Muri.”  Ha pubblicato con Rivista Blam, Il paradiso degli orchi e Tremila battute. È in procinto di pubblicare con Voce del verbo, Narrandom e Sguardindiretti.

“Ragnatela”, un racconto di Luca Alessandrini per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni