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illustrazione racconto Take Five - Valentina Soranna

Take Five

Fumo una sigaretta dietro l’altra, nella fattispecie non è mica una cosa gradevole.

Cioè, di per sé è gradevole la boccata. Di per sé, quando senti che ti esplode nella gola è grandioso, anche se brucia. Quando ti arriva e lo aspiri tutto, è sensazionale. Ti stappa come una bottiglia di prosecco. Parlo delle sigarette, certo. Che non si dica che penso ad altro. Che non si dica, ripeto, che ascolto Dave Brubeck mentre suona Take Five e mi sembra di scopare, ed è grandioso. Quando sfiata nel velluto è grandioso. Quando il fiato bagna la bocca della tromba è grandioso. Take Five. Il serpente nello stomaco si allunga, tutta la spina dorsale si stira e si accartoccia come una danza. Cosa vuoi, mi dico, cosa vuoi adesso, proprio adesso, da quale antro sei venuto a risvegliare il can che dormiva e che ora non dorme più, cazzo. Come lo addormento, mi dico, il cane e anche il serpente, che ormai sono mani nella bocca e trombe nel vuoto cosmico, un intero disco di Dave Brubeck che rimbomba a volumi colossali – e intanto rullo un’altra cicca e l’odore del tabacco si perde nel tempo dei tempi. Tornatene da dove sei venuto, dico. Anzi, no.

Resta.

Sveglia il can che dorme, non una ma tutte le notti, tutta la notte, fa’ quel cazzo che vuoi ma non fare silenzio. Tu lo sai, mi dico, tu lo sai che non sarebbe rimasto a dormire per sempre, lo sapevi come lo sai adesso. E allora fanculo le conversazioni da quattro soldi, i messaggi criptati e le leggi morali, fanculo anche il cane che dorme quando c’è una lupa che non la smette di ululare, perché è questo che fa una lupa. Cerca di fare i cerchi con le sigarette, ma non vengono. E allora dico tornatene da dove sei venuto ma resta, perché quando due così si annusano non c’è un cazzo da fare. Si sveglia il lupo ma anche il lupanare, viene giù anche la luna se lo voglio, viene giù tutto – lo dice anche questa bacchetta che pesta sul piatto quando la tromba sta zitta – oh, sta’ zitta, cazzo, e dopo riprendi, non ti fermare, gonfiati ancora, bagna le labbra e suona, suona dappertutto, che ti sentano anche in fondo alla strada, dall’altra parte del bosco, che ti sentano le bestie nel fondo nel lago, che tanto sono già al buio, dove nessuno le vede. Facciano quello che vogliono. Ora io che ci faccio col cane che non dorme più, me lo spieghi? Che cazzo ci faccio con la lupa che non dorme e la luna che non scende, che ci faccio con Dave Brubeck nella stanza che suona e rimbomba, con tutto questo muro di suono che si sgretola, piove e si bagna, dimmelo, cosa ci faccio col desiderio che si fa carne all’ennesima potenza tutta davanti ai miei occhi, nelle mani, nel pelo, sotto il pelo, nella boscaglia, nella bocca, nelle viscere, nella caverna del sesso che dormiva e adesso non dorme più? Anzi, non dirmelo, non dire niente, che tanto non capirei un cazzo, perché quando due così si annusano non c’è niente da fare, è come Art Blakey che attacca e il resto non lo puoi dire a parole. Al massimo puoi gemere. Il resto sono mani nella bocca e teste aperte e stomaci nelle bisce e conti che non quadrano, mai, inutile dire il contrario che tanto non ci crede nessuno. Figurati perché dovrei crederci io, allora, che mi sono svegliata da poco e ancora mi lecco il muso e le zampe, lupa che dormiva e adesso non dorme più. Lupa che perde il pelo ma il vizio no, il vizio mai, si può perdere il vizio della vita, dico? Il sangue che scorre a fiotti, l’amplesso geniale, le costole nelle mani, la lingua nella bocca, il fiato nella tromba – si danzi! – le viscere tutte in fila su uno stenditoio a prendere aria, i polmoni nello sterno e lo sterno appeso all’infinito, che è una cosa semplice in fondo.

Lo è sempre stato.

Siamo noi che non capiamo un cazzo, ma proprio un cazzo, di quello che accade.

Ce ne stiamo acquattati nella boscaglia, a guardare la vita che passa, sia mai fare un passo falso, che tanto ti scoprono – e sono tutte stronzate, perché l’odore corre più veloce degli acchiappafantasmi, corre talmente veloce che volano i chilometri e non li senti, volano come le note di Jimmy Smith in quel disco del 1958, e che vuoi che sia in un lasso di vita così breve e così lungo, cosa vuoi che esista fuori che non ci sia tutto in quel momento in cui le mani sono nella bocca e la bocca nel pelo e le dita si fanno chilometri di tasti che suonano i punti giusti, che toccano proprio i punti giusti, in quel concerto privato che fa un casino infernale nella bocca dello stomaco – figuriamoci nella gola, figurarsi tutt’intorno, che intorno cosa vuoi che si sappia dell’orgasmo che ci riempie? Niente, niente. La vita è niente, la vita è tutto, la vita è tutto questo. Lo sai come lo annusi, come lo annuso anch’io, come senti il miele che ti si sbrodola nella bocca e la milza nel fianco dopo che hai corso e la spina nel fianco dopo che hai corso e perso – ma stavolta no, stavolta chiudi la bocca, stavolta stai zitto e fammi un concerto. Che lo ricordino tutti – e se non lo ricorderanno, fanculo. Va bene così. Take five.





Valentina Soranna nasce a Bari nell’aprile del 1987: esattamente lo stesso anno in cui esce Disintegration dei Cure e nello stesso giorno in cui ricorrono i compleanni di Rita Levi Montalcini e di Bettie Page. La vita è buffa, questo si sa. Passa metà della sua vita a Bologna, dove la passione per il noir, la poesia e le arti visive trovano un felice connubio, sposandosi alla perfezione con l’insonnia. Formalmente è Dott.ssa in Psicologia dell’Arte, sebbene quasi nessuno sappia bene cosa sia. Scrive, legge e canta dacché abbia memoria. Una passione viscerale per la musica nera, la fotografia b/n, il Noir Americano (non necessariamente in quest’ordine); a seguire: la Psicologia alchemica, i tatuaggi e i gatti. Tante cose, insomma, ma c’è spazio per tutte. Attualmente stanzia da qualche parte nella meravigliosa Puglia, terra di silenzi e sconfinato Mare, dove scrive, colleziona vinili e continua a lavorare dietro le quinte della cultura, anche come dj (con lo pseudonimo Bonnie Valentine, ndr). Come bisce d’acqua è la sua prima raccolta di poesie, pubblicata nel 2016 da Edizioni Draw Up (LT). Presente nell’antologia Giallolatino 2017 (unica donna tra i primi dieci) con un noir di sole 1.300 battute, tra i vari concorsi di prosa e racconto nei quali si posiziona più volte come finalista spicca il Premio Bukowski 2019 – sezione Romanzo inedito. Il resto è in divenire. Take Five appartiene a una serie di racconti inediti (tanti) non ancora pubblicati. Virginia è il nome che darebbe a sua figlia se mai ne avesse una.

illustrazione racconto Take Five - Valentina Soranna
“Take Five”, un racconto di Valentina Virginia Soranna per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni