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Bravissima - Paola Moretti - estratto su SPLIT

Bravissima (estratto)

(Estratto dal romanzo “Bravissima” di Paola Moretti, pubblicato da 66thand2nd. Trovi ulteriori informazioni sul sito dell’editore qui.)



Un giorno capitò che la feci arrivare particolarmente tardi, in macchina la vedevo che continuava a controllare lo Swatch che aveva al polso ma non diceva niente, fissava la strada davanti a noi come se potesse spostare le altre vetture con la forza del pensiero. Quando arrivammo scese dalla macchina, chiuse la portiera e si affrettò verso il palazzetto senza nemmeno salutarmi. Parcheggiai ed entrai anche io. Avevo una gran voglia di assestarle un ceffone, ma non lo avrei fatto. Avrei almeno voluto dirle che neanche in un mondo parallelo esisteva l’eventualità che mi trattasse così, ma quando arrivai dentro era già in pedana con le altre.

Quel giorno Luisa non c’era, c’era un’altra donna seduta sui primi gradini. Mi avvicinai e chiesi di chi fosse la mamma, non l’avevo mai vista.

«Di Vittoria» disse lei cordiale, e dovetti riflettere un attimo prima di realizzare che si riferiva all’allenatrice. La mia perplessità doveva essere evidente perché la donna aggiunse: «Abbiamo portato il motorino ad aggiustare, sa, non ha ancora la patente».

«Ma quanti anni ha?».
«Diciassette».
Le ragazzine erano disposte in due file da cinque e saltavano con le gambe piegate a ranocchia al ritmo del conteggio di Vittoria. Teodora era in prima fila in mezzo ad Alessandra e a un’altra bambina dalla carnagione scura e dalla muscolatura nervosa che si chiamava Martina. Gli schieramenti di ginnaste non erano del tutto sincroni, chi aveva le gambe più lunghe saltava più in alto e atterrava più tardi. Arrivate a venti si fermarono a piedi larghi e cominciarono a tracciare ampi cerchi con le braccia mentre respiravano rumorosamente. Vittoria riprese a contare. Arrivate a quindici, lasciarono le braccia in alto, poi allungarono la schiena, si piegarono in avanti ad angolo retto e mantennero la posizione finché Vittoria disse «stop». All’unisono, lentamente, abbassarono il busto verso terra fino a infilarlo tra le gambe, tenendosi abbracciate ai polpacci. Si alzarono tutte in posizione eretta e con le mani sui fianchi presero a far ruotare il bacino come vecchie signore che hanno mangiato troppo e si sgranchiscono dopo un pomeriggio passato a tavola. Poi iniziarono a spingere il bacino avanti e indietro con mosse sinuose che però non avevano nulla di sensuale. Gradualmente ampliarono il movimento fino a coinvolgere anche ginocchia e testa. Vittoria diceva di muoversi come se fossero un’onda, come se un’onda le percorresse dai piedi alla nuca. Aggiunsero le braccia, si piegavano in avanti fino a sfiorare il pavimento, risalivano e poi si piegavano all’indietro fino a toccare il retro delle ginocchia. Dopo cinque di queste ripetizioni, gli fu ordinato di scendere in ponte. Al che buttarono mani e testa all’indietro come se per un istante fossero state possedute e si disposero in piccoli cunei umani. Erano tutte vestite di nero, scaldacuore e collant, fatta eccezione per le scarpette bianche. Unirono le ginocchia e stesero le gambe, formando delle rampe di ossa da cui sporgevano anche, costole e in alcune un po’ di ginocchia. All’ordine smisero di tendersi e cominciarono a camminare verso destra, poi verso sinistra, senza mai lasciare la posizione del ponte. Di nuovo ferme, a ginocchia divaricate e flesse cominciarono a spingere il bacino verso il pavimento, su e giù, su e giù. La voce di Vittoria rimbombava nel palazzetto semivuoto mentre dava le indicazioni che loro seguivano come granchi addomesticati. Infine gli fu ordinato di avvicinare le mani il più possibile ai talloni e mantenere la posizione. Rimasero così, a forma di omega, con il viso rosso e le vene gonfie, fino a che Vittoria non batté secca le mani e loro tornarono erette e filiformi.

«Pancia sotto!» disse l’allenatrice.

Le bambine si misero prone con le braccia piegate e le mani strette intorno agli avambracci a incorniciare la testa, la fronte appoggiata contro la moquette: sembravano pronte alla fucilazione. Vittoria si avvicinava a ognuna arrivandogli alle spalle, le afferrava per i gomiti, le sollevava facendo inarcare la schiena all’indietro, poi piantava un ginocchio in mezzo alle scapole e tirava le braccia verso di sé fino a sentir scrocchiare tutta la spina dorsale come un ramo secco che viene calpestato. Sentivamo le vertebre scricchiolare anche noi che eravamo sui gradoni.

Nell’ultima ora furono lasciate libere di prendere gli attrezzi. A turno venivano chiamate a esibirsi con la musica. Quando toccò a Teodora, Vittoria le ricordò di sorridere.

Lo ripeté almeno otto volte nei due minuti scarsi di esercizio e non una volta vidi i denti di mia figlia scintillare.

«Punte!» urlava Vittoria. «Chiudi!».
«Stai!».
«La musica!».

«Non correre!».

Frasi complete non se ne usavano quasi. Terminata la performance arrivò qualcun’altra a occupare la pedana. Solo quando Teodora raggiunse Alessandra, intenta a disegnare spirali con il nastro al lato della moquette, si permise di sorridere.

«Impressionante cosa riescono a fare, vero?» disse la madre di Vittoria.

Annuii senza la stessa ammirazione che trapelava dalla voce della donna.

«Vittoria era come il burro, la piegavi in tutte le direzioni. Ma poi non ce l’ha fatta più, la ginnastica è uno sport crudele, sa, le sue amiche avevano i primi fidanzatini e lei non aveva nemmeno il seno fino all’anno scorso. Sa, è quando ha smesso che le sono venute le sue cose».

Il fisico di Teodora stava cambiando, cresceva di statura come era giusto che fosse, ma sembrava che ad allungarsi fossero solo le gambe e, un pochino, le braccia. Il torso invece rimaneva minuto e in proporzione corto, con tutte le ossa che sporgevano. I muscoli le affioravano da sotto la pelle, ma si notavano solo quando erano in tensione: quadricipiti lunghi e ben delineati, polpacci guizzanti, calcagni forti. Le spalle erano diventate enormi, o forse sembravano tali in relazione all’assenza completa di fianchi: dalle ascelle al bacino era un triangolo isoscele quasi perfetto.






Paola Moretti (1990) collabora con diverse testate occupandosi di letteratura e traduzione. Suoi racconti sono comparsi su riviste letterarie italiane e straniere. È autrice del podcast PHENOMENA – audiobiografie impossibili. Bravissima è il suo primo romanzo.