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illustrazione La L sta per liquido

La L sta per liquido

L. torna a casa con una telecamera da interno. Un oggetto plasticoso, dal colore perlaceo, e un piedistallo per sorreggerlo. Uno dei numerosi aggeggi acquistati a prezzi stracciati e dopo poco ammassati nella pila degli acquisti inutili di cui ci si pente sempre troppo tardi, come lo schiaccia-lattine e la telecamera per l’auto. Da quando l’azienda l’aveva lasciata a casa, si era lasciata spingere in qualsiasi direzione dagli eventi casuali della vita di ogni giorno, senza opporre resistenza o scegliere in modo assertivo che direzione imboccare. La sua sagoma massiccia saliva e scendeva le scale sei volte al giorno e i sospiri che esalava per l’eccessivo peso che si spostava da un piede all’altro risuonavano in tutta la casa, come se avesse un amplificatore addosso. La sua routine aveva inizio col suono della sveglia alle otto e trenta passate, quando pigramente quella massa insaccata nella tuta si alzava dopo aver controllato il telefono. Nessun messaggio. Una mail: il Centro d’Opinione ha bisogno di te – togliti un peso dallo stomaco e di’ la tua. E solo allora L. si alzava, e reggendosi in piedi diventava forma vera e propria, geometrica, non più solo congerie liquida e strabordante all’ombra delle veneziane. Ma i giorni si succedevano troppo rapidi come sempre succede dopo i quaranta, alle otto e trenta di ogni mattina nessun messaggio, una mail del Centro Opinione. Inserire nella casella spam: Centro Opinione. La settimana successiva ecco che L. inizia a ridurre il numero del sali e scendi delle scale. Da sei a quattro volte, fino a due. Una sera rincasa con una nuova sveglia da comodino. È allora che decide di sbarazzarsi del telefono, ora che si è esaurita la sua funzione principale: i messaggi non arrivano, la casella spam è intasata dalle mail dei siti di sondaggi online. Decide di sbarazzarsi anche della linea telefonica. Recisi i rapporti con i suoi parenti decenni prima, L. non sa nemmeno se siano vivi e non ha importanza. Si è sempre sentita come una creatura auto-generata, un rigurgito della terra che è riuscito a sopravvivere grazie a fortuiti eventi. È un conato, sforzo riuscito per metà, materia incompleta su cui nessuno vuole mettere mani. Una sera torna a casa con un frigo da camera: è il suo compleanno. Al suo interno ci sono dei sandwich già confezionati, un modesto assortimento di bottigliette d’alcol, una fetta di torta comprata da un distributore automatico, anche questa confezionata. Sono tre settimane che nessuno la cerca. L’appartamento è diventato lo specchio del diradarsi dei suoi sali e scendi, ora ridotti a una volta al giorno, solo quando è necessario rimpinguare il frigorifero da camera. Uno strato spesso di polvere e unto incornicia i mobili e i pavimenti di casa, fatta eccezione per le sporadiche tracce dei piedi di L. dove è passata. L’icona di Cristo appesa sopra il letto la guarda con aria sofferente da un metro più in alto, la segue mentre si muove per la stanza, con gli occhi lievemente rivolti verso il basso, come se si vergognasse di lei. L’ultimo giorno L. si stende a letto. Esala un sospiro, l’ultimo della giornata. Il suo corpo piano piano perde struttura mentre si affloscia nel letto, non ha più un contorno ben marcato, gli angoli si smussano, le braccia lottano come se avessero una volontà loro che determina la forza motrice, ma lottano per nulla: è come se il suo torace, quel petto floscio, cascante, stesse invocando dentro di sé tutti gli altri arti, risucchiandoli, richiamandoli dentro di sé. Un appello verso un riordino anatomico sferico. Le mani si ritirano dentro le braccia, i piedi dentro le gambe, braccia e gambe vengono assorbiti dal torace, e lo rimpolpano con un suono liquido, come quello di un bicchiere che viene versato. Strano, si immaginava un suono come quello di una bottiglia stappata, o una ventosa da bagno staccata dal suo posto. La testa è l’ultima protuberanza a essere annessa, L. deglutisce forte mentre la testa si infossa tra le spalle, l’espressione è assente, persa, gli occhi sono sporgenti, bovini, sembrano uscire dalle orbite. Da sopra il letto l’icona di Gesù la osserva, gli occhi sempre costretti verso il basso. Solo quel giorno le era capitato di pensare che forse l’iconografia non rappresenta un primo piano di Cristo, bensì la sua testa, strappata dal corpo, gli occhi che guardano in giù alla ricerca di ciò che gli è stato reciso via.





Sara Deon nasce nel 1995 nella provincia trevigiana. Una volta maggiorenne si lascia la provincia alle spalle alla volta di Padova, dove si sta laureando alla magistrale in Lingue e Letterature Europee e Americane. Quando non sta studiando collabora con l’Indiependente, dove scrive di scrittori, e lavora al suo progetto online l’Altrosessuale.

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“La L sta per liquido”, un racconto di Sara Deon per la rivista SPLIT di Pidgin Edizioni